Francesco Vernelli

comunicazione, web, marketing

Non uccidere la startup

Circola sul web un breve articolo con le indicazioni sugli errori (giuridici) che possono “uccidere” una startup. Lo ha scritto un’autrice americana. Ci sono avvertenze che possono utilmente essere “convertite” (non solo tradotte) e rese utili anche per chi vuol far partire la propria impresa in Italia. I quattro accorgimenti suggeriti possono sembrare stupidi, ma a volte le grandi idee sono stroncate, o messe in discussione, da sciocchezze.

Dunque, un primo accorgimento riguarda la scelta della forma societaria. Sarebbe opportuno sceglierla con cura e, laddove possibile, differenziare la natura giuridica dell’imprenditore da quella della società, In altre parole è preferibile optare per la forma in società di capitali piuttosto che quella di persone. Per l’ordinamento giuridico italiano questo comporta, detto in sintesi, che le conseguenze patrimoniali delle vicende dell’impresa non coinvolgano anche l’imprenditore (salvo il caso di reati naturalmente). Per scegliere la forma giusta è importante avvalersi del supporto di un consulente in fase di progettazione e di un esperto in materia fiscale in fase di realizzazione.

Secondo consiglio: proteggere la proprietà intellettuale. In un mondo fondato sulla condivisione e sul concetto di open source pare anacronistico ricorrere a brevetti, marchi e diritti di copyright sulle proprietà intellettuali. Ma se sulle idee si fonda l’impresa (soprattutto per quel che riguarda le web startup) e su quelle sono stati investiti dei soldi, c’è un momento nel quale l’investimento (e l’impresa) va protetto perché possa crescere nel tempo.

La giusta strategia nella gestione dei rapporti di collaborazione (lavoro) è il terzo punto sul quale porre attenzione. Siglare accordi (contratti) regolari non è solo è un segnale di correttezza e trasparenza ma è anche il modo migliore per fidelizzare chi lavora nell’organizzazione. Diversamente il rischio è che fugga verso “lidi migliori” portando con sé i frutti del lavoro fatto. Bill Gates asserisce che non c’è miglior modo di aiutare la concorrenza che assumere la persona sbagliata. Anche farla fuggire potrebbe essere un un assist non voluto ai nostri competitor.

Verba volant, scripta manent” ammonivano i nostri antenati di lingua latina. Concludere gli affari in forma scritta aiuta ad essere più chiari e trasparenti ma anche ad aver sempre il controllo del proprio lavoro; un segno di rispetto prima ancora che una precauzione.

L’obbiettivo è quello di evitare di essere, involontariamente, i killer della nostra stessa creazione; semplici accorgimenti come questi possono essere utili a proteggere una startup ed a preservare il successo della propria impresa.

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We know-how

L’onda lunga del paradigma “social” arriva anche in impresa. Le regole che la Weconomy riscrive per la gestione di impresa sono tutte all’insegna della collaborazione, della condivisione, della socializzazione. Sono spunti interessanti quelli che escono da un’analisi di questo tipo fatta dai manager del settore terziario (per avere qualche pillola si può ricercare l’hashtag #weconomyday su Twitter).

Non tutti rappresentano una novità assoluta: alcuni concetti si sono già visti all’interno delle imprese sociali e nel più ampio panorama del no-profit. Anche se la logica in questo caso è stata più quella di chi fa di necessità virtù: la diffusa e permanente scarsità di risorse (o la loro destinazione a fini altri che non quelli di lucro) ha fatto sì che i meccanismi di condivisione potessero fungere come strategia per lo sviluppo di queste organizzazioni.  Perché le imprese for-profit stanno per intraprendere questo cammino?

Una prima spiegazione potrebbe essere legata, appunto, alle risorse: sempre più difficile ottenere capitali ed ancora di più, spesso, raggiungere risultati finanziari ragguardevoli. Un’impresa ha continuo bisogno di fonti di finanziamento per continuare a creare valore; quando queste scarseggiano è necessario trovare fonti alternative (un po’ la stessa cosa che avviene nel campo delle energie). Un esempio in questo senso credo che possa essere rappresentato anche dai workers buy out (con 13 progetti in Italia attualmente attivi)

Un secondo tema è quello dei conflitti: la globalità spinge le imprese a confrontarsi in più mercati (geografici e quindi culturali); in questo senso già l’Impero Romano aveva introdotto la figura strategica  del socius nei territori di conquista. Laddove una guerra (vera o figurata) rappresenta un costo troppo alto per l’ottenimento del beneficio correlato è preferibile creare alleanze, condividere le risorse e, infine, mantenere la governance.

Ultimo, e forse più nobile, il tema del crowdsourcing: un’azienda che riesce a far dialogare tutti i suoi componenti in un contesto collaborativo e non più rigidamente gerarchico, condivide saperi (know-how), conoscenze e tecniche in maniera più fluida. Una strategia che potrebbe risultare l’unica ad essere vincente in futuro.

L’impresa di un’idea

Cosa vuol dire fare impresa? Compiere un’impresa? Detto così vien subito da pensare ai mirabolanti viaggi di Ulisse e a tutte le imprese, appunto, epiche connesse. Richiama virtù, astuzia, coraggio, intraprendenza. Interessante che alcuni, se non tutti, questi termini sono, con una certa facilità, assimilabili anche a chi, di mestiere (?), fa l’imprenditore.

Il nostro ordinamento giuridico ha raccolto in parte questa caratterizzazione “sentimentale ed emotiva” dell’imprenditore; dalla lettura combinata dell’articolo 2247 (“con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”) e del 2082 (“è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”) del codice civile si evince che, per fare tutto questo, una certa dose di confidenza con la complessità l’imprenditore deve averla. E la complessità sta proprio in quell’attività economica al centro di entrambe le disposizioni: ad essere essenziali, e forse un po’ semplici, questo potrebbe significare, banalmente, fare in modo che che i ricavi superino i costi. Ma credo che non sia solo una questione di prendere le misure e dosare bene gli ingredienti: come quando si cucina, per fare un piatto mangiabile basta seguire la ricetta; per farne uno speciale (vendibile direi) bisogna avere stile ed una certa dose di creatività.

Chiunque si pone l’obiettivo di presentare i rudimenti per fare impresa parte sempre dal concetto che alla base ci deve essere un’idea; con delle caratteristiche ben precise: innovativa, possibile e che possa rispondere a certi bisogni del mercato. E sulla prima questione, l’originalità, ci si ferma spesso perché, pare, nel mondo di oggi è già stato inventato tutto e per la creatività non c’è più spazio. A dirci che non è proprio così, o quantomeno che ci sono strade diverse e praticabili, lo dicono alcuni giovani che hanno partecipato alla competizione di Junior Achievement con idee di business che nulla hanno da invidiare a quelle dei grandi. La competizione, oltre al valore educativo, insegna che creatività non è solo avere delle idee strabilianti e mai viste: per chi cucina un’impresa, e non solo, la creatività è un mix di fantasia e concretezza da saper usare con le giuste dosi. E, parafrasando il topolino del cartone Ratatouille, “tutti possono cucinare!”.

Un diario professionale

La mia idea è di utilizzare lo strumento del blog per creare una sorta di pagina personale-professionale in cui inserire e rendere facilmente raggiungibili tutti i “contenuti” della mia vita professionale.

Chiaramente lo scopo finale è quello di presentarsi nel mondo del lavoro in una maniera diversa anche se non del tutto orginale.

Credo fortemente che nel periodo in cui stiamo vivendo uno sforzo importante sia quello di cercare di essere social: non significa soltanto utilizzare strumenti preimpostati di networking come ce ne sono sul web, ma anche, e soprattutto credo, costruire una rete aperta, quasi osmotica con il nostro percorso individuale.

Non so se questo blog avrà questo arduo compito, e soprattutto se andrà in quella direzione, ma quello che troverete qui dentro ha a che fare, senz’altro, con la mia professionalità.

Proverò in queste pagine a scrivere il mio contributo su questioni che professionalmente mi troverò ad affrontare con la speranza che possano essere di spunto anche per qualcun altro.

In questi giorni c’è una frase che mi ronza in testa: “o cambi, o ti cambiano”. Personalmente, ho sempre cercato di essere autonomo, anche nel cambiamento.