Francesco Vernelli

comunicazione, web, marketing

Come la cucina può aiutarci in qualsiasi altro lavoro

Inizio questo articolo con una nota di orgoglio. Sono davvero soddisfatto di aver organizzato durante questo anno una serie di iniziative che hanno unito due aspetti della mia vita a cui sono molto affezionato: il lavoro (inteso come mondo del lavoro) e la cucina (una passione che ho coltivato tra corsi di formazione e fornelli di casa).

Il tema, però, non è la mia soddisfazione. Ho notato che ci sono delle simmetrie tra il mondo della cucina e quello del lavoro che riguardano l’universo delle competenze trasversali (soft skill) e un’idea più articolata di che cosa significhi orientarsi e districarsi nel mondo del lavoro: secondo il mio punto di vista, ha molto a che fare con lo sviluppo dell’autonomia, intesa come la capacità e l’atteggiamento mentale di trovare risorse proprie per affrontare problemi e situazioni nuove o, più semplicemente, tracciare un proprio percorso.

Il primo aspetto, che reputo fondamentale, è il fatto che la cucina ti obbliga a mettere insieme mani e cervello (e cuore): è un lavoro fisico, prevalentemente, ma più lontano di altri da meri automatismi e routine (certo, il lavoro in questo settore non è sempre il trionfo della creatività ma è altrettanto vero che sono più frequenti che altrove imprevisti e trucchi per fare i “soliti” lavori in modo diverso). La passione è fondamentale per superare ostacoli, fatiche e delusioni. Credo che sia superfluo, poi, argomentare su come, da certi livelli di specializzazione in poi, la parte intellettiva sia fondamentale per creare non solo piatti gourmet ma anche strategie vincenti.

Un secondo aspetto riguarda più da vicino le hard e le soft skill: la cucina ti insegna a organizzarti, a pianificare, a risolvere problemi e a usare la creatività. La razionalità è necessaria per fare scelte competenti e sagge che riguardano motivi etici (oggi) ed economici (da sempre! Ogni scarto in cucina sono soldi buttati via, meglio limitarli). L’empatia è utile non solo per indovinare il gusto del pubblico, ma anche perché chi cucina entra in maniera quasi intima in contatto con chi mangia e consuma ciò che viene cucinato: il rapporto di fiducia (seppur tutelata con norme e regolamenti del settore) che si instaura è più alto (e a volte inconsapevole) che in altri contesti. Se poi allarghiamo un pochino l’orizzonte ad altri ambienti, rimandando nel food, ci sono altrettante competenze trasversali che si sviluppano in chi sperimenta lavori come il cameriere e il barista ma anche l’accoglienza e e l’assistenza ai clienti nelle strutture ricettive (il background e l’esperienza di uno scrittore e filosofo com Sandro Bonvissuto non sono casuali)

Se togliamo “la cucina” da queste argomentazioni rimangono contenuti che possiamo utilizzare in tanti altri settori e contesti senza che perdano efficacia e importanza. Si tratta di un universo che contribuisce molto a sviluppare ed arricchire quelle che sono definite “charachter skill” in un testo edito da Il Mulino dal titolo “Viaggio nelle character skill. Persone, relazioni, valori” (G. Chiosso, A.M. Poggi, G. Vittadini). Come si legge nella prefazione, le character skill sono disposizioni della personalità, quali l’apertura mentale, la capacità di collaborare, la sicurezza. In un’epoca in cui le trame del personale e del professionale si intrecciano, la cucina è una palestra per scoprire ed esercitare le nostre competenze e le nostre abilità personali.

L’arte e l’impresa

Questo ed alcuni altri post che trovate su questo blog sono il frutto di un lavoro di narrazione che ho realizzato per un’azienda di software. 

Quella che sto per raccontare è forse l’esperienza lavorativa più bella che ho fatto quest’anno (almeno fino ad ora). Nel mondo del lavoro vi capita mai di incontrare persone sveglie, interessanti, per certi versi ammirevoli? E di pensare: “ma pensa che bello sarebbe poterci lavorare insieme”. Beh, a me è successo che quel pensiero è diventato realtà. Una realtà che si è presentata con una mail ad inizio estate, o poco più, in cui una di queste persone mi chiedeva una disponibilità a collaborare. La richiesta era talmente strana per la sua formulazione e così sui generis che mi ha… meravigliato!

Mi chiedevano di passare del tempo con loro (tre giorni) per guardare e poi raccontare cosa avrebbero fatto (“Il nostro percorso è decisamente non convenzionale e siamo convinti che per raccontarlo al meglio sia necessario viverlo, o almeno vederlo molto da vicino“); che non avevano tanto bisogno di un preventivo (“In questo momento non sarebbe possibile chiedere un preventivo preciso: per che cosa? Stiamo progettando l’azienda che nascerà, non possiamo ancora sapere cosa ci servirà di preciso“) ma di un’idea. Ma a voi, se una (anzi, due!) delle aziende che conoscete e stimate di più vi fa una richiesta del genere, come rispondete?

Per come generalmente funziono avrei potuto rispondere architettando un programma di attività, pianificando le azioni, strutturando una proposta di comunicazione complessa. E invece, in quelle righe il mio istinto (?) ha letto anche dell’altro. Che stavolta, anche se si trattava di una grande opportunità, dovevo giocarmela facendo precedere il cuore alla testa, utilizzare la creatività supportata da un po’ di esperienza (che vuol dire anche libri letti, film visti, vita vissuta e non solo curriculum professionale). Mi sono preso un week end e un foglio bianco in cui ho tracciato, come fosse lo schizzo di un’opera d’arte, quello che avrei fatto, quello che secondo me era la cosa più giusta da fare. Avrei raccontato il loro processo di creazione di una nuova azienda (o qualcosa di simile) come fosse un’opera d’arte, come nei libri di storia dell’arte, con le figure e le didascalie, con la rappresentazione del risultato ma la descrizione dell’intento dell’artista, con la tecnica e le mani ma anche il cuore e le idee. Perché secondo me quello che stavano facendo era davvero un’opera d’arte e io sarei stato il primo e inedito spettatore di questo processo creativo.

A Ideato e extrategy la mia proposta è piaciuta moltissimo (ma lo sapevo che loro, prima di essere programmatori, sono artisti) e da qui ai prossimi giorni sui loro blog e canali social potrete leggere la storia di questa creazione seguendo gli hashtag #ideato, #extrategy. E, nella mia speranza, capirne i motivi, vederne la tecnica e soprattutto sentirne la passione.

La nostra impresa, un’opera d’arte reattiva

Questo ed alcuni altri post che trovate su questo blog sono il frutto di un lavoro di narrazione che ho realizzato per un’azienda di software. 

“Abbiamo capito che la nostra impresa, per quanto ne potessimo essere affascinati, non poteva vivere da sola. Avevamo bisogno di darle gli strumenti per interagire con l’esterno in maniera efficace e interessante: noi vogliamo che la nostra sia un’impresa che instauri relazioni significative con tutti”.

Vi siete mai chiesti come mai le opere d’arte sono esposte in musei o spazi dedicati? No, non è solo per farle vedere perché per questo basterebbe una fotografia ben fatta e caricata su web. Il motivo vero è che le opere in mostra costruiscono una relazione con i visitatori che le guardano dal vivo. Chi è stato in un museo almeno una volta, di propria volontà (le gite scolastiche forzate non valgono), sa che questo è vero: per esempio la prima volta che vedi Guernica di Picasso non vorresti più andare via e dopo qualche tempo senti il desiderio di tornarci. La Gioconda di Leonardo, al Louvre, è la donna che riceve più visite in tutta la Francia (senza malizia). Le persone instaurano con queste opere un rapporto speciale, perché trovano che questo sia un modo per stare meglio.

Noi volevamo che il sistema di relazioni e contatti fossero ispirati a questo stesso tipo di attrazione e, al contempo, che le relazioni che abbiamo fossero anche per noi positive: proficue, allineate ai nostri valori, di reciproco scambio, culturalmente arricchenti. In una sola parola: “giuste”. Su questo abbiamo lavorato nel disegnare anche questo aspetto della nostra impresa.

Il nostro modo di gestire relazioni significative.

Anche in questo caso abbiamo lavorato su tre aspetti cardine su cui implementare le nostre attività: il portfolio management (che rappresenta il nostro modo di curare i clienti), il relationship garden (che rappresenta il nostro modo di curare le relazioni con gli altri), il growth engine (lo stile e il modo con il quale ci muoviamo all’interno delle relazioni).

Il metodo utilizzato è lo stesso delle altre aree: principi, processi e attori da cui nascono poi le dinamiche. Le dinamiche sono il modo in cui noi agiamo all’interno di quell’area.

Abbiamo individuato tre dinamiche all’interno dell’area portfolio management: abbiamo stabilito come irradiamo informazioni (cioè il modo in cui gestiamo le informazioni relative ai nostri contatti e ai nostri clienti), come validiamo i clienti (il processo attraverso passiamo dal primo contatto fino al primo contratto J) e il ranking clienti (che è il nostro modo di valutare il rapporto che abbiamo con loro). Nell’area growth engine abbiamo invece identificato come dinamiche il nostro modo di attrarre i clienti (come facciamo in modo che vogliano lavorare con noi, dalla conoscenza alla fidelizzazione), la definizione di che cosa fa un business developer (il nostro modo di intendere l’accounting) e infine come diventare punti di riferimento (perché nei lavori che facciamo non siamo semplici fornitori ma vogliamo essere un reale motore di evoluzione e miglioramento). Infine nell’area relationship garden abbiamo individuato una dinamica soltanto, che però secondo noi già nel suo titolo dice molte cose: abilitare TUTTI a curare le relazioni.

La cura delle relazioni, anche se non è core business, è la parte delle attività che aiuta le imprese a ottenere la maggior parte del risultato. Per questo motivo abbiamo deciso che anche una digital company come la nostra deve avere come impegno prioritario quello di muoversi con coerenza e intraprendenza all’interno del proprio ecosistema di relazioni con obiettivo di maturare quelle esistenti e farne nascere di nuove. Il nostro modello di attrazione è la Gioconda: troppo ambiziosi?

L’entusiasmo, la paura e la contentezza

Stiamo facendo un percorso di straordinario, nel senso letterale della parola. Quella che abbiamo messo in campo non è un’attività ordinaria: non lo è per le organizzazioni, non lo è per le persone, non lo è nemmeno per il contesto e il territorio in cui viviamo e lavoriamo. Quando ci riuniamo per discutere insieme quello che stiamo facendo, ci sediamo in cerchio in un’unica stanza, è il nostro modo di “fare riunione”: possiamo vederci tutti in faccia e se i nostri occhi scorrono facendo una panoramica tra tutti i volti, gli sguardi che incrocia parlano di entusiasmo ma anche di paura, di voglia di farcela ma anche di timore di non riuscire, di cose concrete su cui lavorare ma anche di fantasie poco afferrabili. Siamo in una terra di confine: da una parte vediamo la nostra storia e il nostro lavoro consolidato, dall’altra l’orizzonte di nuovi modi di interpretare e praticare quello che sappiamo fare. Non sarà un percorso facile, ma la cosa bella di tutto questo è che di tutto questo noi siamo assolutamente contenti.

Disegnare un’impresa

Questo ed alcuni altri post che trovate su questo blog sono il frutto di un lavoro di narrazione che ho realizzato per un’azienda di software. 

Abbiamo disegnato un’impresa nuova partendo dalle nostre esperienze ma soprattutto dalle nostre visioni. Lo abbiamo fatto con un metodo che permettesse la partecipazione di tutti perché pensiamo che sia l’unica strada per poter ottenere i risultati migliori e far emergere personalità, entusiasmo e passione da parte di tutti. Qui vi raccontiamo come abbiamo creato la nostra opera d’arte.

Arte, genio e follia. Potremmo dire che sono questi i tre elementi su cui abbiamo deciso di costruire un’impresa innovativa. Abbiamo utilizzato l’arte, intesa come capacità creativa, per darci la massima libertà di espressione; il genio, per essere il più possibile originali; la follia, perché solo con il coraggio di fare una cosa fuori dal normale si può provare il vero brivido della creazione. Nell’immaginare l’impresa in cui poi vorremo lavorare, l’abbiamo costruita nelle sue parti fondamentali con un metodo aperto e condiviso: principi, attori, processi, flussi e dinamiche sono stati i nostri “ferri del mestiere” in un percorso di raffinazione per gradi continua che vi raccontiamo qui sotto: perché quello dell’artista non è un gesto isolato ma il frutto di una lunga elaborazione.

Come lavora l’artista che crea l’impresa.

Come si sa, dopo aver avuto la visione, si parte scegliendo la materia. Nel nostro caso si è trattato di individuare all’interno di ogni area core (governance, evolution, operation) quali fossero principi, processi e attori che la animavano: è un primo step che prevede una grande libertà di espressione grazie alal quale tentiamo di esplorare tutto ciò che sostanzia l’area. Siamo nella fase della massa informe che cerchiamo quantomeno di descrivere: sappiamo che da questi elementi nascerà poi la nostra opera.

Il secondo passo è stabilire e abbozzare il modo in cui gli elementi fondamentali si mescolano e interagiscno tra loro e come e quali di queste relazioni saranno per noi fondamentali: le chiamiamo dinamiche e sono il modo in cui la materia prende vita. Siamo nel momento in cui la materia si comincia a trasformare perché reagisce. L’ultimo passo è quello di stabilire i flussi, cioè decidere che strada far percorrere alle dinamiche perché producano dei risultati: è in questo momento che plasmiamo l’ossatura della nostra impresa regolando la materia che abbiamo affinché si trasformi nel risultato che vogliamo ottenere.

Governance, operation, evolution

Sono queste le tre aree fondamentali nelle quali abbiamo deciso come si muoverà la nostra impresa. Per ciascuna di queste aree abbiamo individuato le dinamiche fondamentali: individuiamo una dinamica nel momento in cui capiamo e decidiamo che quello è il modo in cui opera la nostra impresa.

Per l’area operation abbiamo individuato le dinamiche relative al project flow (la modalità di gestione dei progetti con i clienti), al planning (la programmazione di tutti i progetti dei clienti) e alla discovery (la modalità con cui analizziamo un cliente prima di proporgli la soluzione).

Per l’area evolution abbiamo individuato le dinamiche della partecipazione alle community (uno dei modi con cui entriamo in contatto con il contesto e cerchiamo contaminazioni), del flusso dell’innovazione (il modo con cui facciamo crescere le idee dando loro le gambe per sorreggersi), dell’attrazione di start-up e aziende (per conoscere nuovi partner) e dell’intercettazione di bisogni interni (sia personali che aziendali, per avere un monitoraggio continuo sullo stato di salute della nostra impresa).

Per l’area governance, le dinamiche che abbiamo individuato sono relative al valore generato e acquisito (qui stabiliamo come gestire il valore che produciamo durante il nostro lavoro con i clienti), al flusso delle attività (il modo in cui gestiamo il lavoro che dobbiamo fare) e il percorso della persona. Quest’ultimo aspetto è di particolare importanza perché in esso si riassume il senso della nostra scelta di essere una open organization: abbiamo scelto di non avere una struttura classica se non per quelli che sono gli obblighi di legge. Sarebbe lungo da spiegare (questo lavoro di ricostruzione della nostra azienda dura già da un anno) e qui possiamo dire sicuramente due cose fondamentali. La prima è che l’azienda che vogliamo è aperta nella maniera più assoluta all’ingresso di chi ne vuole far parte (chiaramente con processi e modalità che abbiamo stabilito); la seconda è che non ci sono persone che hanno un ruolo per nomina, diritto acquisito o anzianità. Abbiamo scelto di definire esattamente il modo in cui ogni persona può muoversi all’interno dell’azienda dando il proprio contributo in ruoli diversi: per gestirla, curare un progetto o stabilire una strategia.

 

Le persone

Chi è il capo e quali caratteristiche deve avere? Ecco, questa è una cosa che nella nostra azienda non è scritta in nessuna lavagna, mansionario o organigramma. Perché quello che da altre parti si chiama (o fa chiamare) manager, da noi si chiamano persone. Tutte le persone che fanno parte della nostra azienda possono decidere strategie, clienti, prodotti e tutto quello che concerne la gestione complessiva di un’impresa. Siamo assolutamente convinti che la cosa migliore sia l’adozione di processi di governance inclusivi: significa che l’obiettivo non è quello di creare una gerarchia, ma di condividere quanto più possibile il processo decisionale e lasciarlo aperto a tutti. Le persone che stanno costruendo l’azienda con le loro “narrative” (il modo in cui ci si racconta e ci si confronta su come vorremmo funzionassero le cose), saranno le stesse che la gestiranno.

Cominciate anche voi a vedere l’opera che prende forma?

 

Costruire un’impresa è un’opera d’arte.

Questo ed alcuni altri post che trovate su questo blog sono il frutto di un lavoro di narrazione che ho realizzato per un’azienda di software. 

extrategy e Ideato da domani potrebbero diventare una cosa diversa, ma come quando si realizza un’opera d’arte, c’è l’idea ma il risultato finale lo si conosce solo quando il processo è concluso. Perché dare vita a una nuova realtà imprenditoriale in questo caso è un processo creativo particolare.

Che cos’è la creatività? Non è una domanda retorica ma è quella che bisogna farsi in casi come questo in cui l’approccio al business è affrontato in maniera del tutto innovativa. La creatività secondo noi è fantasia e concretezza al tempo stesso. È architettura analitica unita a libertà di immaginazione. Su questo doppio binario, solo all’apparenza divergente, corre il treno sul quale viaggiano extrategy e Ideato. Si tratta di un processo creativo fondato su di una tecnica ben precisa, che ha previsto settimane di lavoro e di preparazione per completare l’opera. Abbiamo una visione, un metodo per renderla operativa e anche una strategia per farla diventare un successo. In mezzo c’è tutto il resto: le nostre passioni, i nostri valori, il modo che abbiamo di lavorare e la scelta di farlo attraverso un sistema open, con la partecipazione di tutti.

La visione

Un quadro, una scultura, un’opera d’arte in genere non nascono dal nulla o dal semplice e mero gesto creativo di un artista. I più grandi pittori della storia realizzavano uno o più bozzetti di quello che sarebbe poi diventato il dipinto finale (d’altra parte, la creatività ama i vincoli). Anche in questo caso, in cui gli artisti in campo sono per la maggior parte programmatori (e qualche addetto all’amministrazione), esiste una bozza su cui poggiano il loro lavoro. Noi la chiameremo visione. Non si tratta di un termine soltanto di carattere economico e strategico. La visione in questo caso incorpora e riprende concetti molto più ampi di quelli che appartengono alla vita dell’impresa: dentro ci sono temi come l’evoluzione tecnologica e metodologica (non importa solo crescere, ma anche come si cresce), l’evoluzione personale (ricordate? Al centro ci sono sempre le persone), un modello sociale (che vada oltre il modello di business!), la partecipazione (e questo incontro ne è la testimonianza), l’attrazione delle persone giuste (perché partner e collaboratori si scelgono sulla base della condivisione di valori). La nostra visione è il fulcro attorno a cui ruota tutta l’impresa, su cui poggiano i principi guida, i nostri valori fondanti e la nostra lettura delle opportunità che il sistema in cui ci muoviamo ci offre. Avere una visione non basta così come non basta avere un’idea: è solo l’inizio, indispensabile, per cominciare. Abbiamo scelto un metodo per

 Il metodo

Incrociando gli occhi della cameriera che sta preparando il bar prima del pranzo di questa prima giornata di incontri, capisci dal suo sguardo che lo stupore è quello di chi, da fuori, fosse messo ad osservare questa strana reunion aziendale: gruppi di persone che parlano, poi alcune si spostano, entrano ed escono dalle discussioni in modo del tutto arbitrario, almeno all’apparenza. Ma quello che succede qui non è così strano per chi lo sta vivendo: il metodo proposto da Cocoon Projects, che accompagna questo percorso di incontro tra extrategy e Ideato, prevede che la discussione tra tutti i partecipanti sia ispirata al principio di libertà di partecipazione alle discussioni. Funziona più o meno così: c’è il tema (area core), chi vuole discuterlo partecipa con l’imposizione di smettere e cambiare quando capisce di non riuscire più a dare un contributo. Un meccanismo che presuppone una grande fiducia reciproca, elemento essenziale che caratterizza tutta la gestione dell’impresa che qui stiamo cercando di creare.

I gruppi tra cui si muovono tutte le persone di Ideato ed extrategy sono focalizzati su tre aree core dell’azienda (forse di ogni azienda): governance (gestione), operations (funzionamento operativo), evolutions (sviluppo). Alla fine di ogni round c’è la plenaria che serve ad allineare le informazioni e a scambiarsi feedback. E poi di nuovo a lavorare per gruppi. Così via fino a modellare mano a mano tutte le parti che abbiamo deciso essere le più importanti. All’occhio esterno può sembrare un’operazione di continua aggiunta di pezzi, di contenuti che si moltiplicano, di una mole di lavoro enorme. Invece, anche qui, torniamo all’arte perché quello che facciamo ha sempre a che fare con qualcosa che va oltre l’organizzazione tecnica di un’impresa. Scriveva Vasari che “La scultura è una arte che levando il superfluo dalla materia suggetta, la riduce a quella forma di corpo che nella idea dello artefice è disegnata”. Ecco, la nostra nuova impresa nascerà da un’operazione certosina e raffinata di continuo togliere il superfluo per ricondurre tutto all’essenziale, all’agile, allo stretto necessario per poter mettere tutti nella condizione di lavorare al meglio.

Cosa stiamo facendo?

Disegniamo una nuova impresa basandola su quello che ci sta più a cuore e su ciò che crediamo possa portare maggiore valore. Lo facciamo individuando quelle che abbiamo definito dinamiche chiave, attività secondo le quali la nostra impresa costruisce il proprio business e la sua stessa identità perché esprimono non solo cosa facciamo ma anche come lo facciamo. Descriviamo le dinamiche attraverso i flussi, che sono le modalità di funzionamento delle dinamiche. Individuiamo titoli e ruoli perché sappiamo che sono poi le persone a mettere in movimento tutto quanto. Costruiamo una struttura che però è flessibile, o meglio, adattiva: significa che può muoversi e adattarsi all’ambiente in cui si muove, agli altri soggetti che incontra, alle circostanze che le capitano. Stiamo lavorando ad un’opera che sarà viva perché in grado di trasformarsi nel tempo in maniera veloce ma prevedibile; siamo molto più interessati alla sua evoluzione che non al suo stato attuale. Pensiamo che questo sia il modo migliore per dare vita a un’impresa che sia in grado di evolvere continuamente, crediamo che questo sia l’unico modo per di creare qualcosa che riguardi il futuro e non il passato.

Le aziende del futuro saranno diverse dal passato non per le loro dimensioni, ma per la forma che sapranno prendere. Per questo ci siamo concentrati nel costruire un’opera d’arte.