Francesco Vernelli

comunicazione, web, marketing

Meraviglia!

Quante volte vi capita di stupirvi? E quante volte lo stupore è uno stimolo, un incentivo a fare cose diverse e più entusiasmanti? A me è capitato di stupirmi (ma forse sono un po’ “facile” da questo punto di vista) partecipando alle TEDxBologna 2013, una serie di talk dedicati alle innovazioni esponenziali. La mission delle TED è quella di diffondere le idee, quelle che meritano di essere diffuse chiaramente (ideas worth spreading). Ecco, io mi sono stupito fino ad esclamare “meraviglia!” quando ho ascoltato gli speech e già dopo i primi due ero sbalordito. E credo che questo mi abbia fatto bene, mi abbia regalato una ricchezza che posso riutilizzare. Faccio tre esempi, tre volte in cui, dentro di me, ho esclamato: meraviglia!

Meraviglia!” quando ho capito una cosa che tutti facciamo fatica a capire: la legge di Moore (sulla crescita esponenziale) non riguarda solo l’informatica. Da quando la tecnologia tocca tutti i campi della conoscenza dobbiamo entrare nella logica secondo la quale l’evoluzione esponenziale può riguardare qualsiasi aspetto della nostra vita quotidiana. Quello che vediamo oggi potrebbe essere stravolto in men che non si dica, quello che oggi pensiamo impossibile potrebbe essere realtà tra pochi anni. Per esempio: lo sapete che un robot sorridente ed auto-apprendente sta “crescendo” proprio “dietro casa”? Si chiama iCub, si muove, sorride, interagisce.

Che viviamo in una rete (interconnessa) lo sappiamo tutti. Ma sappiamo anche che stare al centro della rete potrebbe non essere così bello, piacevole, interessante? Guido Caldarelli, esperto di reti complesse, ha raccontato una bella storia che mette insieme i bambini, i telefoni cellulari, le foche e i merluzzi.: meraviglia! La morale della storia è che nei sistemi di rete complesse (o a invarianza di scala) non sempre le azioni razionali provocano le reazioni che ci si attende, quelle logiche (almeno ad una prima istanza). Per esempio non è detto che in un ecosistema eliminando i predatori il numero dei predati aumenti: potrebbe accadere come nel caso delle foche e dei merluzzi che il risultato sia esattamente il contrario, eliminando i predatori scompaiono anche i predati.

Meraviglia è anche divertirsi ma per farlo bisogna essere molto concentrati, attenti, preparati. Christian Zoli ha chiesto di provare a vedere che faccia ed espressione ha un bambino che gioca. E poi: quando è l’ultima volta che ci siamo divertiti lavorando o, meglio, che il nostro divertimento è diventato un lavoro? La verifica potrebbe non essere così positiva per molti di noi. Questo perché spesso il lavoro è una faccenda a cui dedichiamo molto tempo ma poco coinvolgimento: dovrebbe essere un gioco e forse lo è ma c’è qualcosa che non va. Questo qualcosa che non va sono le regole. Per cui, l’unica possibilità che abbiamo per farlo diventare coinvolgente è cambiare le regole. Quali sono le regole di un gioco divertente? Obiettivi chiari, feedback costante, sfide bilanciate, interazione sociale, sensazione di controllo, predisposizione all’errore (sbagliare significa imparare), senso di miglioramento (i task ripetitivi sono noioso, meglio eliminarli).

Perché è importante stupirsi? Secondo me perché quando ci stupiamo ci siamo veramente aperti al nuovo, abbiamo tolto resistenze e pesi della routine che troppo di frequente ci mette su binari obbligatori; perché ci pare di poter vedere oltre il solito orizzonte; perché ci sembra che con quel che abbiamo visto, ascoltato, sentito possiamo davvero cambiare qualcosa, migliorare la nostra vita. Perché possiamo distrarre per un attimo la nostra amigdala e concentrare tutta la nostra energia in un’innovazione esponenziale: meraviglia!

meraviglia

Comunicazione flash e spinaci tra i denti

Quanto è efficace una comunicazione veloce, istantanea, virale? Dipende chiaramente dall’obiettivo ma il rischio di misunderstanding è piuttosto alto. Così come la possibilità di far circolare false informazioni (o miti). Un esempio recente lo è la diffusione di informazioni relative ad avvenimenti drammatici che riguardano la vicina Grecia (come in questo ormai famoso post): solo dopo una successiva analisi delle fonti, fatta in questo blog, si scopre che in realtà molte delle informazioni comunicate originariamente sono quantomeno manipolate od addirittura frutto di fantasia.

Al di là di quello che  può essere un giudizio etico-professionale su chi diffonde false o artefatte informazioni (di cui qui non si tratta), c’è una questione che riguarda l’efficacia e la tempestività della comunicazione e di come questa possa essere distribuita in maniera veloce anche da chi, più o meno consapevolmente, non fa alcuna verifica delle fonti. O, se lo fa, si basa su fattori che ne determinano la qualità in maniera “originale”. Faccio un esempio. Quando ho fatto notare, nell’ennesima bacheca di Facebook, che la notizia sulle condizioni in cui versa la Grecia non fosse proprio attendibile mi è stato risposto che era stata postata perché apparsa in siti più o meno appariscenti. Ecco mi ha colpito la parola “appariscenti”.

La riflessione che voglio fare qui è quindi su come la visibilità possa condizionare la percezione che abbiamo dei contenuti veicolati. Se come dice l’amico Paolo Manocchi, “l’abito in realtà fa il monaco”, accade anche che la “veste” che viene data ad un certo tipo di comunicazione ne determini non solo il successo (in termini di raggiungimento di pubblico, come evidentemente avviene e deve avvenire nei meccanismi pubblicitari) ma anche l’attendibilità e la conseguente propagazione virale. Questo meccanismo è alla base del marketing sui social media e funziona anche perché trova, spesso, un pubblico facilmente influenzabile con la forma e meno attento ai contenuti. Si tratta di una manifestazione differente di quella che gli americani chiamano teeth-spinach-effect: ad un congresso anche il più bravo e preparato relatore se parla con uno spinacio fra i denti sortirà l’effetto non voluto di essere ricordato, dalla maggior parte dei presenti, per questa simpatica anomalia dentale e non per quello che ha detto.

Il punto è che, soprattutto nella comunicazione web, il teeth-spinach-effect potrebbe anche non essere un inconveniente, un errore, una sbadataggine, un effetto non voluto. La “distrazione” (se così la si vuole chiamare) è tanto più sottile, nascosta, irriconoscibile come tale tanto più la comunicazione è veloce ed immediata. Come tante altre è una tecnica non nuova per i professionisti della comunicazione a cui non bisogna dare una connotazione negativa (dipende essenzialmente con che obiettivi viene utilizzata): come spesso accade spesso la consapevolezza è la migliore delle medicine. L’importante, infatti, è guardarsi allo specchio prima di parlare e decidere: magari può anche capitare di non avere granché da dire ed in quei casi magari una foglia di spinacio può avere più successo di mille parole.

spinach effect

Idee e coraggio in un cucchiaio

Lo stile sta tutto in un cucchiaio. E non è lo slogan di una qualche azienda produttrice di articoli per la casa e il cucchiaio non è quello per la minestra, ma il noto tocco “delicato”  al pallone che si usa per ottenere quella traiettoria a parabola lenta e inesorabile. Premetto: non sono un gran tifoso di calcio e, soprattutto, non lo seguo con costanza da molti anni. Per dare un’idea, i rigori di Italia – Inghilterra (Europei 2012) li ho visti la mattina del giorno successivo a quello della partita.  In quell’occasione (ho poi scoperto che ce ne sono state almeno altre sette) un giocatore della nazionale (Andrea Pirlo) decide di tirare un rigore decisivo (quello che, se sbagliato, avrebbe condannato la squadra alla sconfitta) con questa “insolita” tecnica.

Secondo me un gesto dal quale si può imparare qualcosa. In quel rigore tirato a quel modo c’è tutto ciò che serve per fare una scelta, per cambiare, per prendersi la responsabilità di ciò che accadrà successivamente. Ci sono l’idea ed il coraggio necessario a portarla avanti. Ci sono l’impertinenza e la sfrontatezza di affrontare una crisi con una sicurezza all’apparenza troppo avventata; il gesto di chi, per amore dello stupore (o forse solo perché capisce che è l’unica possibile soluzione), si prende il rischio di finire, dopo un attimo, tra gli osannati o tra i condannati. Non c’è una possibile via intermedia: le stelle o le stalle, l’inferno o il paradiso, le lodi o le critiche. C’è chi in quel momento fa tutto secondo le regole, segue il “manuale” (semmai ce ne fosse uno sempre a disposizione). C’è chi invece tenta un’altra strada, uno stile diverso, un pensiero diverso.  Ecco, per uscire da una crisi (da una situazione critica), servono le idee ed il coraggio di perseguirle.

Quella di Andrea Pirlo non è solo un’alzata di ingegno, è uno stile di vita. Non è solo classe, è la “pazzia” sorprendente di chi riesce a non rimaner legato agli schemi. Non è improvvisazione però, sono convinto che è preparazione; non è la creatività del momento ma la tenacia di averci provato un sacco di volte. Sono convinto che il “cucchiaio” lo abbia provato un sacco di volte. Così come sono convinto che non è da tutti; ma non perché il giocatore in questione è un fenomeno. Semplicemente perché di metodi ce ne sono anche altri, di modi di calciare efficaci ugualmente, di strumenti e trucchi a migliaia. Ma di stile uno solo. Ed è lo stile di chi si prepara, di chi si allena per quel “colpo”, di chi si concentra ed ha ben in mente quello che sta per fare, di chi sceglie il momento giusto per tirar fuori uno degli assi che ha nella manica. Lo stile di chi ha un’idea ed il coraggio di portarla avanti fino in fondo. E può stupire migliaia di persone.

Reputation (il personal branding in un bacio)

Il personal branding è l’attività che ci permette di avere una certa notorietà (anche se il termine non è proprio corretto) in un certo contesto. Oggi, utilizzare strumenti tipicamente pubblicitari è alla portata di tutti: la “fama” gira nella rete e così ciascuno di noi, con qualche competenza tecnica ed informatica, può diventare una specie di Armando Testa nel suo piccolo.

Quello però che non si fa (e che non è proprio facile da realizzare, perlomeno non è istantaneo) è costruire qualcosa dietro la facciata della pubblicità. Perché se il personal branding si ferma alle attività superficiali (come una bella grafica del sito od una foto strabiliante) rischia di divenire solo un’apparizione che si sfoca velocemente nelle menti della maggior parte delle persone.

Ciò a cui non si bada è la reputazione: come la si costruisce? Cosa fa sì che il nostro marchio (brand) possa avere un valore solido e non così fragile da perdersi nel giro di pochissimi istanti? Sicuramente la preparazione, la competenza ed un lavoro portato avanti con disciplina e determinazione. Come dice Paolo Manocchi siamo abituati a pensare al motto “l’abito non fa il monaco” guardando solo ad una faccia della medaglia: o solo la forma, o solo la sostanza. Invece sono due facce che viaggiano necessariamente insieme, vicine, si toccano, si baciano.

A proposito di baci. Mentre scrivo sta facendo scalpore l’ultima campagna di Benetton (ritirata) con i baci scambiati tra personalità importanti del mondo. Quale forma e quale sostanza? Quale reputazione? La trovata pubblicitaria (forma) è sicurmaente di impatto non fosse altro per il fatto che è stata ripresa dalle testate di tutto il mondo; ma, forse, come fa notare anche l’Independent la questione (sostanza) è un’altra e riguarda i conti, non troppo brillanti, della casa di moda.

Come scrive la rivista Internazionale “le provocazioni non sono più una novità, e forse non sono sufficienti a convincere i consumatori”. Soprattutto se, poi, a guardar bene, sono anche delle cover .

 

Stand alone

Rimanere soli: nessuno con cui comunicare, interagire, confrontarsi anche solo con uno sguardo. Una condizione che spaventa molti. Personalmente credo invece che i momenti di solitudine possano essere quelli di vera sublimazione della propria persona, del proprio spirito ed anche delle proprie competenze.

Ciascuno di noi, per definizione, è un soggetto singolo quindi, almeno in parte, solitario; ciascuno di noi costruisce buona parte della propria personalità ed identità in maniera autonoma scegliendo quali esperienze fare, che interazione avere con gli altri e l’ambiente circostante. Ci sono momenti in cui questo processo di crescita (in tutti i sensi) lo si verifica; la costruzione della propria identità (e della propria professionalità) passa anche attraverso momenti di confronto con se stessi. AI quali difficilmente si riesce a sfuggire. Anziché viverli con un certo senso di oppressione o frustrazione, il consiglio è quello di renderli veri e propri stadi di verifica della propria “forza”.

Ad ognuno di noi è capitato almeno una volta di sentirsi isolato, di pensare vagamente ad altro, di riflettere su una scelta fatta; capita in maniera imprevista e spesso ci coglie impreparati. Riuscire ad utilizzare in maniera costruttiva queste “divagazioni” diviene così più difficile. Mentre sarebbe importante ottimizzare questi momenti per trasformare quella che solitamente si chiama distrazione in concentrazione. Sarebbe importante farlo anche all’interno delle organizzazioni nelle quali si insegue la produttività dove, accanto al team-building e alla costruzione di un gruppo efficiente, potrebbe risultare utile (e proficuo) valorizzare anche momenti di singola soddisfazione.

Per farlo (o provarci) il primo consiglio è quello di non affidarsi al caso ma programmare: concedersi momenti di ascolto personale con tempi e modalità definiti. Il secondo consiglio è quello di rifuggire dal desiderio che da questo tipo di ascolto si possano trovare delle risposte a problemi e questioni in maniera diretta. La meditazione (o quel che le assomiglia) significa ascoltare il nostro profondo, che può fornirci delle idee. Come spiega David Lynch “le idee sono come i pesci: se vuoi prendere un pesce piccolo puoi restare nell’acqua bassa, se vuoi un pesce grosso devi scendere nel profondo“.