C’è ancora un discreto numero di imprese, professionisti e lavoratori che non hanno integrato la propria comunicazione tradizionale con una modalità che preveda l’utilizzo dei social media. Un dato che non sempre, quasi mai anzi, è frutto di una scelta consapevole. La reazione, spesso, è quella di “buttarsi” sul primo strumento che capita (considerato il numero di utenti e la sua fama, il primo che capita è spesso Facebook). Non c’è bisogno di dire che questa non è esattamente la scelta migliore soprattutto se l’orizzonte temporale è di medio o lungo periodo e prevede, quindi, l’adozione di una strategia.
Mi convinco sempre di più che quello di cui si ha bisogno in questi casi non sia un “corso di formazione sui social media”: soprattutto se il corso è sostanzialmente l’apprendimento asettico di qualche tecnica per l’utilizzo “smart” di questi strumenti. Da che partire allora? Quale approccio diverso può essere più utile? Dal mio punto di vista ci sono 5 must da tenere presenti prima di fare qualsiasi registrazione sui social media. Primo passo: scegliere la piattaforma più adatta alle nostre esigenze. Non è detto che quelle più di moda siano anche quelle più corrispondenti ai nostri bisogni; ci si può dirigere su qualcosa che privilegi contenuti visivi oppure che abbia un pubblico di un certo tipo e vicino al target che si vuole raggiungere. Chiaramente la quantità di utenti, specialmente all’inizio, impone una riflessione sulla possibilità di essere presenti comunque in alcune piattaforme. Secondo passo: fatevi gli otaku vostri! La strategia premiante sui social media (e, vorrei dire, in qualsiasi forma di comunicazione convincente) è quella che prevede un’evidente e stretta correlazione tra i concetti che si comunicano ed i valori ed i concetti che si possiedono. In altre parole è utile concentrarsi sulle proprie passioni, sul proprio core business evitando la scelleratezza di sentenziare su qualunque cosa o di essere assolutamente generalisti.
Terzo passo: molti vi diranno che quel che conta non è la quantità (di fan, di follower, di “amici” ecc.) ma la qualità (interazione) nei rapporti sui social media. Vero. A patto che questo non significhi una spasmodica ricerca dell’engagement a tutti i costi: se un tema non è condiviso, proviamo a variare non a forzare. Quarto passo: come ho tentato di spiegare in uno dei miei ultimi appuntamenti formativi, un fattore che spesso si tralascia di evidenziare è la frequenza con cui si pubblicano contenuti. Che lo si voglia o meno una volta che cominciamo ad utilizzare una piattaforma abbiamo un nostro pubblico con le sue abitudini. Che vanno tenute in considerazione. Il fatto non è soltanto individuare ore e giorni in cui pubblicare (e ci sono precisi strumenti informatici di analisi per individuarli) ma anche cercare di rispettare una frequenza: non importa quanto serrata o blanda sia, l’importante è mantenerla e, per questo, sceglierne una sostenibile.
Quinto passo: pianificare, misurare e… crederci! Lo storytelling è anche, a mio modo di vedere, un’ottima tecnica di pianificazione dei contenuti. Se riusciamo, prima di iniziare, a costruire una storia (di noi stessi, della nostra impresa, del nostro brand) tutto risulterà più facile ed anche meno oneroso in termini di tempo ed anche di risorse econmiche. Inoltre saremo così in grado di tessere una trama più coerente e, spesso, anche più coinvolgente. Gli analytics (non solo quelli di Google) non sono una roba da smanettoni: al di là della capacità tecnica di utilizzo (non da tutti affrontabile) dovrebbero essere una sorta di termometro per la verifica delle azioni sui social media. Ed infine: se crediamo che tutto questo sia solo un bluff non iniziamo per niente: la nostra presenza sui social media ha senso solo se crediamo veramente che possano essere efficaci per le nostre strategie comunicative.