Il nuoto mi salverà (o quantomeno mi farà buttare)

Devo ringraziare mia madre per una serie di cose (e temo che andando avanti con l’età mi accorgerò di altre), ma quella che mi è venuta in mente oggi riguarda la sua pervicace e insistente determinazione nel portare mio fratello e me in piscina fin da piccoli.

In piscina ho imparato a nuotare davvero, acquisendo la tecnica e la confidenza necessarie a navigare sempre in acque tranquille. Forse anche in senso metaforico, visto che il nuoto nel corso degli anni ha avuto sempre una sorta di funzione curativa: nuoto per rilassarmi, per mantenermi in forma, per trovare quella sensazione di sospensione e leggerezza che non c’è nella gravità della terra.

Ma non è questo quello che mi è venuto in mente oggi. Nella piscina in cui andavamo da piccoli, nella parte della vasca con il fondo più alto, c’erano due trampolini: uno elastico e l’altro rigido, in cemento. Quando avevi raggiunto una certa dimestichezza con l’arte natatoria l’insegnante ti proponeva, a fine lezione, di fare i tuffi. Divertente, eccitante ma non così immediato.

Specialmente all’inizio, il tuffo non l’ho mai fatto a cuor leggero: perché mentre camminavo sulla lastra affacciata sull’acqua, ad una altezza a cui di solito non ero abituato, per arrivare al limite e poi buttarmi, sentivo un misto di sensazioni spiazzanti. Pensavo: sarà divertente, ma devo stare attento; sembrerà di volare per un attimo ma poi come “atterro”? E se mi faccio male? E se cado di pancia? Insomma, volevo buttarmi con tutto il mio cuore e con quello stesso cuore avevo paura.

Che io ricordi non sono mai tornato indietro, non ho mai rinunciato al tuffo. Non credo che fosse una questione di coraggio quanto più di curiosità. E anche di piacere di quel piccolo brivido che, a guardar bene, rende le esperienze della vita più interessanti. 

A me capita nel lavoro, come in questo periodo peraltro, di avere voglia di andare a cercare di nuovo quel piccolo brivido, di provare l’inebriante sensazione di buttarmi senza avere la certezza che l’atterraggio sarà calmo e tranquillo; di sentire la forza dell’impatto con l’acqua e di immergermi completamente in qualcosa di nuovo. Credo che sia salutare anche se, per certi versi pericoloso. Ma penso anche che vada fatto e, non appena il desiderio di quel brivido si farà sentire appena un po’ di più, lo farò.