Internet, con tutte le trasformazioni che si porta dietro ha cambiato sicuramente la nostra vita. E non ha ancora finito. Solitamente le innovazioni sono sempre benvenute; a patto, secondo me, che il contesto in cui arrivano sia sufficientemente preparato. Credo che un contesto nel quale la “rivoluzione web” ha colto un po’ tutti impreparati è quello del commercio. Quanto, e soprattutto come, la crescita del commercio elettronico sta trasformando questo settore? La risposta a questa domanda implica anche una considerazione legata all’attuale periodo di contrazione dei consumi (e di chiusura delle serrande purtroppo). Dal mio punto di vista sto cercando di capire qualcosa in più in merito a quello che gli americani chiamano “retail” e che da noi è più comunemente conosciuto come commercio al dettaglio.
Mi sono chiesto molto semplicemente: stiamo assistendo al principio della fine del retail? Per dare una risposta che possa essere in qualche modo anticipatrice di fenomeni (non dico predittiva) ho provato a “dare un occhio” al mercato USA. Innanzitutto una questione che molti, almeno a mia percezione, non hanno capito. Una frase letta in questo post piuttosto efficace dice che, come scriveva Tolstoy, ogni famiglia è triste a suo modo, così ogni catena commerciale ha i propri problemi ma tutte hanno un nemico comune: internet. Questo atteggiamento è poco corretto; ma non nel senso di essere non conforme alle regole, ma nel senso di essere poco conveniente. Chiaramente, anche a causa della recessione incombente, il rapporto che si può instaurare tra un operatore del commercio e la rete può essere altamente conflittuale. Ma nella presentazione di BusinessInsider intitolata “The end of the retail world as we know it” si spiega in maniera efficace come, in realtà, in alcuni conflitti (o cambiamenti epocali, come lo è questo), spesso il miglior atteggiamento non sia quello di un contrasto frontale (Darwin insegna che “vince” chi si adegua, non chi, semplicemente, sconfigge il nemico). E che la questione non è come eliminare la minaccia (internet o recessione che sia), piuttosto come sopravvivere fintanto che la minaccia persiste: fino ad arrivare al punto di riuscire, in alcuni casi, a convivere (proficuamente) con la stessa.
Ho affermato che questo semplice passo, quello dell’adeguatezza al contesto, è faticoso da comprendere (e da fare) perché, come è accaduto negli USA, anche da noi, le imprese del commercio hanno reagito male ed in maniera non adeguata alla “minaccia”: nelle migliori ipotesi replicando le loro strategie offline anche nel mondo online. E se questo è stato l’approccio tipico (di non molto tempo fa) di molti retailers che hanno “scoperto” il web, la storia non dovrebbe ripetersi con lo sviluppo e l’utilizzo di tecnologie e dispositivi mobile. Non si tratta quindi di fare l’applicazione carina e accattivante, ma oggi come allora di ri-pensare la propria proposta di valore nei confronti dei consumatori e le proprie azioni fondamentali nei loro confronti. C’è da attivarsi per creare un nuovo legame affettivo con il cliente che non sia unicamente centrato sulla location.
Considerazioni ulteriori, contrastanti a dir la verità, riguardano il mercato del lavoro, cioè i posti di lavoro collegati al commercio.Questa trasformazione non sarà indolore in questo senso ma ci sono spazi e possibilità affinché non sia mortale. Come fa notare “The Atlantic“, in due diversi articoli a distanza di una settimana uno dall’altro (nel 2012), se è vero che il “nuovo mondo del retail” suggerisce in prima battuta che lo shopping del futuro non avrà bisogno di lavoratori, è altrettanto vero che ci sono dati incoraggianti che indicano come gli attuali lavoratori del settore non saranno magari impiegati nelle stesse mansioni ma troveranno posto in nuovi processi di produzione (creati anche essi grazie all’adozione di nuove tecnologie). La fine del retail, è solo l’inizio del retail.