“Una delle mie migliori amiche quando eravamo al liceo faceva la barista. In una giornata faceva un numero infinito di piccoli aggiustamenti ai caffè che preparava, tenendo conto di tutto: dalla freschezza dei chicchi alla temperatura, all’effetto della pressione sulla quantità di vapore, e intanto manovrava la macchina con la destrezza di una piovra e scherzava con i clienti su qualsiasi argomento. Poi andò al college e trovò il suo primo “vero” lavoro: doveva inserire dati seguendo una procedura precisa. Pensava con nostalgia ai tempi in cui faceva la barista, quando il suo lavoro richiedeva veramente che usasse l’intelligenza. Forse l’esaltazione del pensiero analitico e la svalutazione degli aspetti di origine animale e corporea della vita sono due cose che faremmo bene a lasciarci alle spalle. Forse, finalmente, all’inizio dell’era dell’intelligenza artiiciale, stiamo cominciando a ritrovare il nostro centro, dopo aver vissuto per alcune generazioni leggermente spostati verso la logica e l’emisfero sinistro.”
Questo brano è estratto da un articolo di Brian Christian su Internazionale (n.888 del 11/16 marzo 2011; l’intero articolo fa parte del libro dell’autore dal titolo The most human human). Benchè il brano fosse parte di un articolo sulle intelligenze artificiali e su come i robot possano o meno sostituirsi agli umani, trovo interessante come questi studi mettano in risalto anche altri aspetti della nostra vita. Per esempio quello lavorativo e professionale che in queste pagine spesso viene affrontato sotto molteplici punti di vista.
Spesso accade che alcune abilità (o competenze) vengano sottoposte a gerarchie (mutevoli) magari solo per assecondare, giustificare o spiegare alcuni andamenti del mercato. Questo premia (o punisce) alcune attività a dispetto di altre ma non le abilità con le quali vengono realizzate. Per spiegarmi meglio faccio un esempio: il mercato oggi non premia sicuramente una professione come quella del calzolaio, eppure l’abilità manuale con la quale questa attività si realizza non è da buttare e potrebbe essere sicuramente messa al servizio di qualche altra professione maggiormente redditizia. Quanto il mondo fuori decide di pagare una professione non ha nulla a che fare con il valore delle nostre abilità.
Un secondo aspetto importante riguarda desiderio e piacere di mettere in campo le nostre capacità: questi due elementi sono alla base della nostra motivazione e del nostro successo. Per fare un esempio: durante un laboratorio formativo raccontavo che nello sviluppare la mia capacità di equilibrio, da piccolo, sono riuscito ad un certo punto ad andare in bicicletta senza sostegni mentre non sono mai riuscito ad andare sui pattini. La capacità di rimanere in equilibrio su delle ruote è praticamanete la stessa, ma il mio desiderio di andare in bicicletta era enormemente più grande e più forte di quello di andare sui pattini.
Ciascuno di noi ha un grande potenziale da sviluppare: si tratta solo di decidere di dargli la giusta motivazione e non aspettare che siano gli altri a fornire un pretesto (magari economico).