Password non dicono

Quello che le password non dicono

Qualche giorno fa mi è stato chiesto di intervenire alla presentazione di un piccolo prodotto editoriale con un intervento dedicato alle password e a quello che rappresentano. La ricerca e quel che ho trovato mi hanno spinto a riportare la riflessione in questo post.

I codici cifrati che utilizziamo quotidianamente per proteggere i nostri dati in realtà ormai sottendono un po’ tutto il nostro mondo. Le password “nascondono” agli occhi degli altri (o almeno così speriamo) tre aspetti fondamentali della nostra vita. I nostri ricordi, perché ormai archiviamo gran parte delle cose che ci succedono (foto e non solo) all’interno di archivi informatici (locali, come il nostro computer, oppure remoti, con sistemi cloud); i nostri soldi (sarà un aspetto poco nobile, ma sicuramente essenziale), perché ormai i sistemi di home banking e trasferimento immateriale di denaro sono uno standard; le nostre relazioni, perché dall’avvento dei social network giochiamo una buona parte della nostra vita emotiva con una mediazione informatica. Ricordi, soldi e relazioni che affidiamo alla sicurezza delle password. Mi sembra una buona dimostrazione di fiducia: ma come scegliamo le password?

Tecnicamente, in generale, non siamo molto bravi considerato che (dati del 2015) ancora una persona su 1000 sceglie come password la parola “password” e due su 10 scelgono la composizione nome e anno (decisamente vulnerabile). Ma la risposta che voglio dare alla domanda (come scegliamo le password) non è tecnica. Mi ha colpito il percorso (non so se chiamarlo report o dossier) che ha realizzato Ian Urbina, giornalista del New York Times, su quella che lui ha chiamato “la vita segreta delle password” (qui l’articolo in lingua inglese). Il meccanismo con cui scegliamo le password in realtà ha molto a che vedere con le nostre emozioni.

Le password che scegliamo sono spesso legate a ricordi emozionalmente importanti della nostra vita.

Negli esempi che riporta Urbina (al link la versione in italiano) c’è chi ha scelto la propria password collegandola alla fine di una storia di amore, chi a un ricordo della propria giovinezza, chi a un proprio obiettivo. C’è chi ha utilizzato ironia e chi invece il dolore: le password sono intrise di metafore, a volte persino pathos.

In ogni caso le password che scegliamo non sono mai banali o codici qualunque.  Come dice una persona intervistata da Urbina le password sono “poesie di una sola parola“. Mi piace pensare allora che dietro a ogni password in realtà ci sia una storia e che se avessimo un posto in cui raccogliere tutte le password che abbiamo utilizzato, quel posto non sarebbe una rubrica o un fascicolo pieno di codici. In realtà sarebbe un nostro diario, il racconto per codici della nostra vita, la storia delle nostre emozioni.

 

PS: in realtà c’è chi questo diario lo ha realizzato (quello della foto); lo potete trovare alla Libreria IoBook di Senigallia.