Francesco Vernelli

comunicazione, web, marketing

L’elemento umano della macchina

Le organizzazioni cercano spesso la coerenza. Soprattutto quando fanno selezione dei migliori candidati. Certamente è utile avere una certa armonia all’interno della propria struttura: una serie di competenze in linea con gli obiettivi dell’azienda, uno stile che permetta una buona integrazione con gli altri, un’esperienza organizzativa nel settore che si consolida con quella individuale di ciascuno. Tutto giusto. Ma come spesso accade è forse utile anche chiedersi il perché e se c’è un vero bisogno di tanta coerenza. La mia idea è che se la coerenza è utile soltanto ad una gestione più controllata di tutto il sistema non è poi più così necessaria come un forse lo era un tempo: sia perché il controllo oggi è possibile con altri strumenti sia perché gli elementi discordanti a volte son quelli che facilitano l’innovazione, il cambiamento, lo sviluppo.

Break the china”  è la frase che mi ricordo con una certa lucidità detta da un mio docente di teoria delle organizzazioni all’università. Non ho mai verificato se fosse una sua invenzione o veramente un modo di dire della società americana, ma ad ogni modo la storia è questa: “china” è l’insieme di porcellane di origine orientale con le quali, almeno un tempo, il businessman arrivato decorava la propria abitazione; il simbolo del successo (come dire: adesso ho tutto, posso rilassarmi). L’invito a costui, per tornare a produrre con la stessa energia, era quello di rompere i vasi e le porcellane preziose per avere un motivo urgente, una spinta, una forte sollecitazione ad essere di nuovo rampante, “affamato”, dirompente. Insomma la voglia di fare ed il successo non si ottengono standosene comodamente seduti in poltrona. La metafora, raccontata agli studenti affinché non si adagiassero su eventuali allori, può essere valida anche per le organizzazioni oggi. “Abbiamo sempre fatto così” è la frase ripetuta da molti di coloro che poi non hanno avuto più nulla da fare; una sorta di anticamera del fallimento.

Credo che questo valga anche nel momento in cui le organizzazioni scelgono i propri collaboratori: costruire un team troppo omogeneo e coerente rischia di essere un disegno più adatto ad una macchina che ad un gruppo di persone. Così come in tutte le macchine esiste un elemento umano che fa la differenza (come insegna un noto cantautore italiano), così nelle organizzazioni credo sia importante un elemento discordante, qualcuno che non sia coerente, che non la pensi allo stesso modo, che possa portare un punto di vista diverso, che ha un’idea fuori dal contesto, che sia in grado di far allargare le vedute; una sorta di banchmarking del cambiamento. A different way of thinking.

Pedalare!

C’è un rito, una preparazione ad hoc per affrontare certi percorsi. Come per esempio quando si va in bicicletta: bisogna provvedere all’alimentazione, all’abbigliamento, alla preparazione, alla messa a punto della bici, alla programmazione del percorso.  Certo, si può anche prendere la bici e fare un giro ma non è la stessa cosa. Pedalare non è blandamente portare avanti la bicicletta, ma spingere sui pedali con tutta la forza che si riesce ad esprimere.

Ma la cosa più importante se si decide di andare in bicicletta, quella che a me aiuta molto nella preparazione, è un’altra: avere un obiettivo. Non è una cosa da poco perché l’obiettivo che ci diamo (che siano 10, 50 o 100 chilometri, in salita o in pianura) deve essere raggiungibile, magari per un pelo, ma lo si deve poter “toccare”.  Deve essere personale, non lo può indicare qualcun altro. Deve essere pensato per migliorare: ogni volta un passo (una pedalata) più avanti.

Quando poi si sale in sella c’è un altro trucco per affrontare le salite senza arrendersi e le discese senza aver paura. Il trucco è “un pezzo alla volta”. Ci vuole un po’ di allenamento per capire quanta energia il proprio corpo (e la propria mente) consuma per fare una pedalata, quanto sudore ci vuole per far fare un giro completo alla ruota. Riuscire a cogliere questa strana unità di misura, così diversa da un individuo all’altro, è la chiave per raggiungere l’obiettivo e farlo allo stesso tempo senza risparmiarsi e senza rischiare di non raggiungerlo. Ci vuole forza di volontà, un po’ di coraggio e molto allenamento. D’altra parte anche Thomas Edison diceva “”il genio è l’uno per cento di ispirazione e il novantanove per cento di traspirazione”.

Bisogna crederci. Personalmente provo a pedalare tutti i giorni anche se la mia bici spesso rimane in garage; e quando arrivo in cima alla salita spesso la soddisfazione annulla la fatica, e ritrovo l’energia per un altro sprint.

AIDA

Per avere successo in un processo di selezione si può seguire l’AIDA. Non si tratta dell’opera lirica in quattro atti di Giuseppe Verdi, ma dell’acronimo proposta da Bernd Faas in alcuni suoi seminari di formazione sui temi del lavoro in ambito europeo.  Perché oggi ormai, soprattutto per chi esce da un percorso formativo in giovane età, il terreno di confronto con altri candidati è anche quello della mobilità. Intesa come capacità di “abitare” contesti diversi. Una diversità che non è solo linguistica ma anche di abitudini, di modalità e tecniche, di stili, di cultura.

Ma con l’Aida di Verdi questa ha in comune i 4 atti, che sono:

A come attenzione: è quella del selezionatore che dobbiamo attirare; abbiamo poco tempo per farlo sia nella lettera di presentazione che nel colloquio. La prima impressione vis-à-vis si costruisce nei primi 30 secondi di un colloquio e nei primi 5 secondi di lettura. Fondamentale che sia improntata sull’interesse e sull’empatia per non dover far poi tutto il resto in salita.

I, come interesse: quello che le cose che raccontiamo devono suscitare, legato alle competenze che abbiamo, ai risultati raggiunti, alle esperienze fatte in altri contesti.

D, è il desiderio di chiamarci che alla fine dovrebbe avere il nsotro “ascoltatore”  perché siamo stati coinvolgenti, perspicaci, affascinanti. Se questa volontà cresce in chi ci ascolta lo capiamo dalle domande che potrà farci,dalla richiesta di ulteriori particolari e specificazioni.

A, come azione! Se le fasi precedenti hanno avuto successo verremo chiamati e così finalmente, forse, potremo passare dalle parole ai fatti. Non sappiamo quanto sarà duraturo e sostanzioso il contratto ma da questo momento possiamo definirci dei collaboratori a tutti gli effetti del nostro interlocutore.

Che l’opera abbia inizio!

Numeri per (evitare) il successo

Ho comprato, su suggerimento di una persona che stimo (e forse l’ho fatto per calibrare la mia stima), un libro dal titolo “Le 7 regole per avere successo” (in italiano, che non è proprio la traduzione fedele dell’inglese “The 7 Habits of Highly Effective People”) di Stephen R. Covey (www.stephencovey.com).

In un tempo di grande confusione (che dura ormai da alcuni anni) fa spesso presa chi riesce a dare regole, punti fermi, in qualche modo alcune certezze. Bene, il libro lo leggerò ma a me ha fatto venire un’idea. Scrivo qui anche io 7 cose su cui puntare (chiamarle regole non mi piace) non per avere successo, ma per evitare di cercarlo:

  1. prendi le cose con ironia: non significa ridere per ogni cosa (sarebbe da imbecilli) ma trovare qualcosa di umoristico in ogni situazione
  2. sforzati di pensare che avresti potuto fare meglio, e lo farai la prossima volta
  3. cerca di capire in che punto sei del contesto in cui vivi: la consapevolezza è già un vantaggio competittivo
  4. credi in te stesso, poi negli altri (almeno alcuni) ed infine, se ti aiuta, in qualcosa di ultraterreno (vale tutto)
  5. nei quiz la prima risposta è quella che conta; nella vita anche la seconda, la terza e la quarta hanno un loro fascino
  6. la cosa peggiore è ripensare ad occasioni mancate: cerca di evitarlo
  7. non so se l’impegno, la volontà e il coraggio alla fine trionfano sempre; però affrontare la vita con questo stile ti fa sentire bene

Qualsiasi cosa possa significare per voi, buona fortuna!

Un diario professionale

La mia idea è di utilizzare lo strumento del blog per creare una sorta di pagina personale-professionale in cui inserire e rendere facilmente raggiungibili tutti i “contenuti” della mia vita professionale.

Chiaramente lo scopo finale è quello di presentarsi nel mondo del lavoro in una maniera diversa anche se non del tutto orginale.

Credo fortemente che nel periodo in cui stiamo vivendo uno sforzo importante sia quello di cercare di essere social: non significa soltanto utilizzare strumenti preimpostati di networking come ce ne sono sul web, ma anche, e soprattutto credo, costruire una rete aperta, quasi osmotica con il nostro percorso individuale.

Non so se questo blog avrà questo arduo compito, e soprattutto se andrà in quella direzione, ma quello che troverete qui dentro ha a che fare, senz’altro, con la mia professionalità.

Proverò in queste pagine a scrivere il mio contributo su questioni che professionalmente mi troverò ad affrontare con la speranza che possano essere di spunto anche per qualcun altro.

In questi giorni c’è una frase che mi ronza in testa: “o cambi, o ti cambiano”. Personalmente, ho sempre cercato di essere autonomo, anche nel cambiamento.