Francesco Vernelli

comunicazione, web, marketing

No more guru

Volevo iniziare questo post con quelle frasi tipo “viviamo tempi in cui…” oppure con quelle domande retoriche come “chi vi può aiutare a…”. Poi mi sono fermato perché la cosa, oltre che essere abusata, era poco coerente con quello che voglio esprimere. Il mio pensiero è questo: è tempo di smettere di cercare un guru che ci “illumini” per ogni cosa che dobbiamo fare.

Permetto che la mia impressione, lo ammetto, è fortemente condizionata da quel che vedo scorrere nelle timeline dei social network che utilizzo. Però, mi capita sempre più spesso di vedere l’esaltazione di personaggi e “pensieri guida” che dovrebbero essere considerati profeti del nostro tempo. Spesso quelli che dovrebbero o potrebbero essere pensieri, idee, considerazioni personali vengono assunti come regole, comandamenti, verità assolute.

Non c’è niente di male nel condividere un pensiero che coincide con la nostra visione del mondo, le nostre sensazioni, il nostro stesse sentire. Tutto sta nel vedere se quel pensiero è davvero nostro e lo abbiamo riconosciuto nelle parole di qualcun altro, oppure ci ha catturato perché è stato esposto bene (e magari anche perché su certi temi noi un’opinione proprio non ce l’avevamo e abbiamo sposato quella più convincente). Faccio un esempio che reputo abbastanza vicino a quello che intendo. Anche io apprezzo Gramellini su La Stampa, ma non credo che la sua rubrica “Buongiorno” rappresenti la verità ogni giorno. Ho la sensazione che invece le sue parole, per quanto sempre ben articolate e fondate, siano considerate con un trasporto eccessivo (per usare un eufemismo). E, attenzione, quel che intendo nulla ha a che vedere con la bontà o meno di quanto esposto.

Mi verrebbe di chiamarla “sindrome da guru“: un insaziabile bisogno di avere certezze, di trovare un ancora a cui aggrapparsi, un faro illuminante. Un desiderio che nel nostro tempo è esaltato e trova uno scenario adatto nei social media e nelle altre piattaforme di condivisione. Ho l’impressione che la continua ricerca di un punto di riferimento possa trasformarci da assetati di conoscenza (se mai lo siamo stati) a babbei utili per l’esaltazione di qualsivoglia causa.

Credo invece che non sempre abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica che cosa fare. Ho idea che potrebbe essere arrivato il momento di conquistare un po’ più di autonomia di pensiero, giusto o sbagliato che sia. Proviamo a smettere di rivolgerci a chi ci spiega come fare. Facciamolo e basta. Facciamo come abbiamo imparato. E se non abbiamo imparato abbastanza, torniamo a studiare. Ma, vi prego, no more guru.

 

Fuori da qui

Questa settimana a Milano era tempo di moda ma anche di social media week, una serie di convegni, conferenze e seminari dedicati ai social media di cui quella di Milano è solo una tappa di un percorso internazionale. Io ci sono andato, anche se la mia settimana è durata soltanto un giorno, mercoledì. Proficuo a dir la verità, perché al limite della resistenza mia e di Trenitalia son riuscito a fare giornata completa. dalla mattina alla sera. Ma non è a questo che ho deciso di dedicare un post del mio blog.

Il motivo sta tutto nel titolo: fuori da qui. Sono piuttosto convinto che uscire, in senso lato, faccia bene. E che farlo ogni tanto non solo contribuisce ad aggiornare le nostre competenze e la nostra formazione, ma aiuta anche a mantenere una generale “freschezza” mentale. C’è qualcosa in più che mi spinge (ci spinge?) a spostarmi in un contesto diverso dal solito, a cambiare aria ed anche riferimenti. Una sorta di voglia di vedere e assaggiare qualcosa di diverso. Credo che oggi avere questo stimolo, questa indole sia fondamentale. Thinking outside the box: per farlo, sinceramente, penso che qualche volta sia necessario portare tutto il corpo fuori dalla scatola. Mi chiedo se anche i social media non siano uno strumento che può aiutarci a cambiare i nostri riferimenti, che può darci la possibilità di “uscire” dai paletti che inevitabilmente troviamo nella routine. La risposta non credo di averla ma penso che forse talvolta sia importante dedicare tempo della nostra vita a contatti reali, fisici, materiali.

Quello che so è che la mia “gita” alla social media week mi ha offerto  un sacco di spunti, occasioni e motivi di confronto. Ne avevo bisogno! Così come avevo bisogno di spostarmi in una città diversa (che bella poi Milano!), mangiare accanto a persone che non conoscevo, sedermi vicino a chi non avevo mai visto, parlare con chi non sapevo chi fosse ma che aveva il mio stesso interesse. Ascoltare le possibili evoluzioni del modo di fare informazione, confrontarsi sul futuro del marketing, apprendere tecniche e strategie per fare una presentazione vincente ed infine dissertare su cosa sia davvero oggi disruptive non sono cose che avrei potuto fare rimanendo a casa o al solito lavoro. Dovevo, per forza, andare fuori da qui.

fuori da qui

Organizzazione, potere e co-creation

Una delle principali questioni relative alle organizzazioni è certamente la loro modalità di organizzarsi, darsi un senso strategico e una modalità operativa. La mia domanda è: che visione abbiamo di come dovrebbe essere organizzata una comunità (o un’impresa?). Quanto è forte (debole) la nostra cultura su questi temi? Me lo sono chiesto dopo aver assistito alla discussione che sto per raccontare: niente di straordinario ma qualcosa di significativo. Ecco i fatti.

Diciamo che ho avuto modo di confrontarmi con una persona decisamente giovane, con un ruolo se non di potere quantomeno di rappresentanza all’interno di una grande organizzazione (burocratica): il quid era come impostare e gestire un evento insieme. Disquisendo sul chi-fa-cosa ad un certo punto le esce la frase “Comunque considera che se Asterix e Obelix decidono una cosa, poi gli altri devono obbedire” mimando un riverente inchino. Asterix ed Obelix sono i nomi di fantasia di due capi (manager, direttori, dirigenti possiamo scegliere quello che vogliamo) al vertice di due organizzazioni (i veri nomi li ometto per una serie di motivi, tra cui il fatto che sono ininfluenti rispetto al racconto).

Ora, quel che mi ha stupito è che la giovane e brillante mente che si è espressa in questo modo era piuttosto convinta che: le organizzazioni sono comunque rigide e verticistiche;  il potere è dall’alto verso il basso;  la collaborazione funziona ed ha un senso se viene imposta. Questo concetto a me non piace: non credo che aiuti a crescere, che sia attuale, che possa essere significativo per i tempi che viviamo, che possa funzionare (forse mi auguro anche che non funzioni più). Se parliamo di un’azienda, se passiamo da un’organizzazioen generica ad una a carattere imprenditoriale, non penso possa essere adatto al mercato in cui si opera, qualsiasi esso sia.

Torno a chiedermi: quale cultura ho delle organizzazioni? Che idee di sviluppo ho in mente? Quale concetto di crescita e di mercato mi appartiene? A me, per intenderci,  piace questo: “il mercato come un luogo dove aziende e clienti/consumatori condividono, combinano e rinnovano insieme risorse e capacità per creare valore attraverso nuove forme di interazione, servizio e metodologie di apprendimento“. La definizione è quella di co-creazione che si trova su Wikipedia ed io trovo che è un paradigma che potremmo declinare in tutti i contesti in cui ci troviamo a vivere, professionalmente o personalmente. O mi sbaglio?

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Mi piace il lunedì

Lo devo scrivere oggi e non più tardi di oggi (anche per evitare di ricredermi domani): mi piace il lunedì! Anche se è il primo giorno della settimana e tutto sembra insormontabile, anche se è il giorno che segna la fine della festa e del relax, anche se è il giorno che ti ricorda i doveri e ti obbliga a dimenticare i piaceri. Al contrario del Vasco nazionale (“Odio i lunedì“), a me piace il lunedì. Il lunedì è il giorno in cui mi pare di avere tutto il tempo che voglio davanti. Lunedì è il giorno del futuro: hai tutta la settimana davanti per mettere in cantiere i tuoi progetti. Lunedì è tutto da iniziare, niente che hai lasciato indietro, niente che non puoi riprogrammare. Lunedì è l’inizio senza poter dire che sei finito: ho sempre la sensazione in questa giornata di avere delle chance in più, mi sembra quasi di poter gestire tempo ed energie. O almeno questo è il modo in cui mi piace affrontare l’inizio della settimana ed ogni lunedì, metaforico o reale che sia. Da dove viene questo “strano” entusiasmo? In realtà è solo questione di punti di vista, di sensazioni, di approccio. Mi spiego meglio con un esempio. Non sono un grande sciatore, anzi probabilmente qualcuno non mi definirebbe nemmeno come tale. Ho imparato a sciare (da intendersi come mera capacità di scendere le piste senza danni) solo poco tempo fa ed una cosa che bisogna imparare da subito è come affrontare le discese. La pendenza, solitamente fa paura, quantomeno mette sul “chi va là”. Sci ai piedi e pista lì sotto quello che viene da fare è tirarsi indietro, anzi buttarsi all’indietro. L’effetto che questa manovra (busto indietro, gambe avanti) provoca è quello di cadere. La mossa controintuitiva che è necessario imparare a fare è quella di portare il busto avanti: c’è la pendenza? Buttati! Ecco, il lunedì andrebbe affrontato come una discesa sugli sci: buttarsi. senza paura. La settimana è lì pronta per farci divertire: ed è tutta discesa! mi piace il lunedì

Meraviglia!

Quante volte vi capita di stupirvi? E quante volte lo stupore è uno stimolo, un incentivo a fare cose diverse e più entusiasmanti? A me è capitato di stupirmi (ma forse sono un po’ “facile” da questo punto di vista) partecipando alle TEDxBologna 2013, una serie di talk dedicati alle innovazioni esponenziali. La mission delle TED è quella di diffondere le idee, quelle che meritano di essere diffuse chiaramente (ideas worth spreading). Ecco, io mi sono stupito fino ad esclamare “meraviglia!” quando ho ascoltato gli speech e già dopo i primi due ero sbalordito. E credo che questo mi abbia fatto bene, mi abbia regalato una ricchezza che posso riutilizzare. Faccio tre esempi, tre volte in cui, dentro di me, ho esclamato: meraviglia!

Meraviglia!” quando ho capito una cosa che tutti facciamo fatica a capire: la legge di Moore (sulla crescita esponenziale) non riguarda solo l’informatica. Da quando la tecnologia tocca tutti i campi della conoscenza dobbiamo entrare nella logica secondo la quale l’evoluzione esponenziale può riguardare qualsiasi aspetto della nostra vita quotidiana. Quello che vediamo oggi potrebbe essere stravolto in men che non si dica, quello che oggi pensiamo impossibile potrebbe essere realtà tra pochi anni. Per esempio: lo sapete che un robot sorridente ed auto-apprendente sta “crescendo” proprio “dietro casa”? Si chiama iCub, si muove, sorride, interagisce.

Che viviamo in una rete (interconnessa) lo sappiamo tutti. Ma sappiamo anche che stare al centro della rete potrebbe non essere così bello, piacevole, interessante? Guido Caldarelli, esperto di reti complesse, ha raccontato una bella storia che mette insieme i bambini, i telefoni cellulari, le foche e i merluzzi.: meraviglia! La morale della storia è che nei sistemi di rete complesse (o a invarianza di scala) non sempre le azioni razionali provocano le reazioni che ci si attende, quelle logiche (almeno ad una prima istanza). Per esempio non è detto che in un ecosistema eliminando i predatori il numero dei predati aumenti: potrebbe accadere come nel caso delle foche e dei merluzzi che il risultato sia esattamente il contrario, eliminando i predatori scompaiono anche i predati.

Meraviglia è anche divertirsi ma per farlo bisogna essere molto concentrati, attenti, preparati. Christian Zoli ha chiesto di provare a vedere che faccia ed espressione ha un bambino che gioca. E poi: quando è l’ultima volta che ci siamo divertiti lavorando o, meglio, che il nostro divertimento è diventato un lavoro? La verifica potrebbe non essere così positiva per molti di noi. Questo perché spesso il lavoro è una faccenda a cui dedichiamo molto tempo ma poco coinvolgimento: dovrebbe essere un gioco e forse lo è ma c’è qualcosa che non va. Questo qualcosa che non va sono le regole. Per cui, l’unica possibilità che abbiamo per farlo diventare coinvolgente è cambiare le regole. Quali sono le regole di un gioco divertente? Obiettivi chiari, feedback costante, sfide bilanciate, interazione sociale, sensazione di controllo, predisposizione all’errore (sbagliare significa imparare), senso di miglioramento (i task ripetitivi sono noioso, meglio eliminarli).

Perché è importante stupirsi? Secondo me perché quando ci stupiamo ci siamo veramente aperti al nuovo, abbiamo tolto resistenze e pesi della routine che troppo di frequente ci mette su binari obbligatori; perché ci pare di poter vedere oltre il solito orizzonte; perché ci sembra che con quel che abbiamo visto, ascoltato, sentito possiamo davvero cambiare qualcosa, migliorare la nostra vita. Perché possiamo distrarre per un attimo la nostra amigdala e concentrare tutta la nostra energia in un’innovazione esponenziale: meraviglia!

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