Francesco Vernelli

comunicazione, web, marketing

Il leader viola

In questo blog ho parlato altre volte di leadership e di come e quanto possa contribuire alla “costruzione” di un leader la sua formazione, le competenze trasversali, la capacità di motivare gli altri e di saperli ascoltare e quella di riuscire a vedere, con lungimiranza, oltre le esigenze e le contingenze quotidiane. Ma quanto un leader deve (può) essere una persona “straordinaria”?

Utilizzo questa parola riprendendo il concetto del libro di Seth Godin, “La mucca viola“. Per chi non lo avesse letto il libro parte proprio enunciando un concetto semplice: un prodotto è viola quando per le sue caratteristiche e qualità risulti essere unico nel suo genere, originale e, appunto, “straordinario”. Una mucca viola ottiene, più di ogni altra, una cosa: l’attenzione unica di chi la guarda. Non è possibile distrarsi se abbiamo davanti una mucca viola, non è possibile non stupirsi la prima volta che la si vede, non è possibile non continuare a pensarci una volta vista. Insomma, la mucca viola è qualcosa di straordinario ed originale, unico, irripetibile, invidiabile, migliore, innovativo. Possibile che esista anche il leader viola?

Sono tempi in cui chiaramente la straordinarietà premia, soprattutto se intesa come l’opportunità di stupire e di meravigliare gli altri. Anche l’assunto da cui parte l’esperto americano di marketing è quello che l’attenzione generale è molto più sfuggente: consumatori, lettori, spettatori (collaboratori?) son sempre meno disponibili a mantenere una concentrazione intensa e duratura su ciò che viene loro presentato. Giusto o sbagliato che sia sembra quasi essere un fenomeno fisiologico, dovuto quasi ad un mutare antropologico. Ma la straordinarietà aiuta anche a costruire team efficaci ed efficienti?

Se i prodotti nei mercati hanno ancora bisogno di mucche viola non lo so, ma le organizzazioni hanno bisogno di leader che possano portare anche altri colori. Il “leader viola” genera sicuramente uno stupore che può essere utile inizialmente: per convincere, spingere a partecipare, introdurre un cambiamento in maniera entusiastica. Ma poi ha bisogno anche di altro: della motivazione, cioè di imprimere la forza che ci spinge a fare qualcosa facendo leva sulle emozioni (violetto?); della flessibilità, la capacità di adeguarsi in fretta a un cambiamento mettendo a punto adeguate strategie (turchese?); della resilienza, la capacità di reagire ai traumi salvandosene e migliorando (indaco?). Oltre lo stupore, per un leader, ci sono tante altre sfumature.

leader viola

Migliore

Cosa fa di un professionista il migliore del suo campo? Di un giocatore il migliore della sua squadra? Di un alunno il più bravo della classe? Di un leader un esempio per gli altri? Di un vincente un campione? Le ricette in merito si sprecano. C’è chi punta al carisma, dote innata e prerogativa solo di alcuni; c’è chi indica la preparazione, l’esercizio, l’allenamento come un percorso inevitabile per arrivare al successo.

A mio modo di vedere per essere il migliore bisogna innanzitutto capire: migliore di chi? di cosa? Limitare il campo, agganciare dei punti di riferimento, determinare un contesto nel quale decidiamo che vogliamo crescere. Ecco, perché si tratta di questo. Migliori si diventa attraverso un processo di crescita, continua, nell’ambiente in cui ci troviamo. L’ambiente è importante perché se più o meno tutti possiamo definirci “leader del settore“, a determinare se siamo i “migliori” sono gli altri: clienti, compagni di squadra o di scuola, colleghi e partner professionali, avversari (nei casi di fairplay), Insomma essere i migliori è anche una questione di fiducia e di reputazione.

La crescita ed il miglioramento continuo sono principi solitamente collegati, a torto o ragione, ad una dimensione spirituale, religiosa, metafisica. Ma, credo, non si debba cadere nell’errore di pensare che è una questione che ciascuno risolve con se stesso e basta. La spinta e la forza interiore che dobbiamo curare affinché possiamo essere migliori (a volte “i migliori”) ha bisogno di confrontarsi anche con aspetti e versanti molto concreti della nostra vita.

Faccio un esempio, molto poco spirituale; ma che a me ricorda parecchio questo processo di costruzione del miglioramento. Fino a qualche anno fa seguivo con un certo interesse le gare di Formula1 (come si vede siamo su di un livello di spiritualità vicino allo zero). All’epoca correva con la “rossa di Maranello” un pilota tedesco, Michael Schumacher. Una volta disse una cosa, a mio parere, molto interessante durante un’intervista. Mi colpì una parola in particolare: “push!” (“spingi!”). Disse che se la ripeteva ogni qualvolta si trovava da solo al comando di una gara. Affermava che, anche quando si poteva “rilassare” e gestire un comodo vantaggio, cercava sempre di migliorare il tempo, l’impostazione della curva, la prestazione. Correndo a volte dei rischi pur di migliorare. Una filosofia o, più semplicemente uno stile di vita, per migliorare sé stessi. Credo che a ciascuno di noi possa far bene qualche volta, soprattutto quando crediamo che non sia necessario, ripetersi: push!

Leadership training

Leader si nasce o si diventa? Le occasioni per formarsi non mancano; così come gli stili di leadership che si moltiplicano quasi fossero delle specializzazioni delle scuole. Ed esiste anche un Leadership Center (MIT) che negli Stati Uniti, oltre che formare, analizza le modalità più appropriate di guida delle organizzazioni.

In Italia per formare i leader ci sono scuole diverse; un’idea innovativa è sicuramente quella del progetto che ha portato in carcere un gruppo di manager affinché l’esperienza fosse una scuola di motivazione. L’intento finale è quello di ottenere un manager che sia anche leader ed avere effetti benefici sul fatturato (come si legge in questo articolo de IlSole24Ore). Sui risultati si riescono a trovare notizie meno certe. Le caratteristiche di un leader (almeno le principali secondo il mio modo di vedere) le avevo scritte in un post di qualche tempo fa: competenze, fiducia, condivisione. La questione è dove andare a prendere chi ha queste caratteristiche o come fare in modo che siano sviluppate da chi ha ruoli di responsabilità. La formazione è senz’altro utile ma, personalmente, credo che la formazione che maggiormente va curata è quella iniziale, delle prime scuole (formali o meno) che ciascuno di noi frequenta. Una formazione con la quel, nel tempo, ciascuno di noi forma il proprio carattere e, soprattutto, determina i propri valori. Credo che questo sia importante e che non ci sia scuola, da adulti, che possa formare questa base su cui poi insistono tecniche, strumenti, stili. La disciplina, la determinazione, la lealtà, il carisma (solo per citarne alcuni) non si insegnano in nessun seminario e training sulla leadership.

I motivi per i quali è importante fissare dei principi (ciascuno i propri) ancora prima di far carriera sono essenzialmente due. Il primo è che gli stili di leadership, le tecniche di comunicazione, le modalità di relazione, gli schemi organizzativi son tutti elementi che, prima o poi, in un modo o nell’altro, verranno messi in discussione, modificati, alterati, innovati. Il secondo è che ciascuno di noi è leader, in un contesto grande o piccolo, in un momento della propria vita, in una situazione particolare. Ed anche nelle organizzazioni i traguardi si raggiungono meglio se la motivazione è diffusa e non se un gregge di gregari segue acriticamente un capo. Nella presentazione della scuola del MIT (Leadership Center) si legge “the idea that leadership today, even more than in the past, must come from every level of an organization or every part of an organizational network” . A scuola di leadership si comincia ad andare presto e non si smette mai.