Cosa fa di un professionista il migliore del suo campo? Di un giocatore il migliore della sua squadra? Di un alunno il più bravo della classe? Di un leader un esempio per gli altri? Di un vincente un campione? Le ricette in merito si sprecano. C’è chi punta al carisma, dote innata e prerogativa solo di alcuni; c’è chi indica la preparazione, l’esercizio, l’allenamento come un percorso inevitabile per arrivare al successo.

A mio modo di vedere per essere il migliore bisogna innanzitutto capire: migliore di chi? di cosa? Limitare il campo, agganciare dei punti di riferimento, determinare un contesto nel quale decidiamo che vogliamo crescere. Ecco, perché si tratta di questo. Migliori si diventa attraverso un processo di crescita, continua, nell’ambiente in cui ci troviamo. L’ambiente è importante perché se più o meno tutti possiamo definirci “leader del settore“, a determinare se siamo i “migliori” sono gli altri: clienti, compagni di squadra o di scuola, colleghi e partner professionali, avversari (nei casi di fairplay), Insomma essere i migliori è anche una questione di fiducia e di reputazione.

La crescita ed il miglioramento continuo sono principi solitamente collegati, a torto o ragione, ad una dimensione spirituale, religiosa, metafisica. Ma, credo, non si debba cadere nell’errore di pensare che è una questione che ciascuno risolve con se stesso e basta. La spinta e la forza interiore che dobbiamo curare affinché possiamo essere migliori (a volte “i migliori”) ha bisogno di confrontarsi anche con aspetti e versanti molto concreti della nostra vita.

Faccio un esempio, molto poco spirituale; ma che a me ricorda parecchio questo processo di costruzione del miglioramento. Fino a qualche anno fa seguivo con un certo interesse le gare di Formula1 (come si vede siamo su di un livello di spiritualità vicino allo zero). All’epoca correva con la “rossa di Maranello” un pilota tedesco, Michael Schumacher. Una volta disse una cosa, a mio parere, molto interessante durante un’intervista. Mi colpì una parola in particolare: “push!” (“spingi!”). Disse che se la ripeteva ogni qualvolta si trovava da solo al comando di una gara. Affermava che, anche quando si poteva “rilassare” e gestire un comodo vantaggio, cercava sempre di migliorare il tempo, l’impostazione della curva, la prestazione. Correndo a volte dei rischi pur di migliorare. Una filosofia o, più semplicemente uno stile di vita, per migliorare sé stessi. Credo che a ciascuno di noi possa far bene qualche volta, soprattutto quando crediamo che non sia necessario, ripetersi: push!