Saldi: tra social media, ecommerce e retail tradizionale

Questo post è sostanzialmente il racconto di quel che mi è successo, visto con gli occhi di chi guarda con curiosità e qualche competenza a quel che avviene nelle relazioni con i clienti nell’era dei social media. In altre parole, se fosse un film, a questo punto dovrebbe passare la scritta “basato su una storia vera”. Anche se non si tratta di un film, vediamo se riesco a scrivere una sceneggiatura credibile.

Dunque, tempo di saldi e l’arrembante consumatore approfitta per un piccolo rinnovo dell’armadio (del suo contenuto per la precisione): parte il giro di alcuni negozi di abbigliamento fidati in cui va in cerca di capi e marchi più o meno conosciuti. In una di queste boutique l’occhio (e il cuore) cade su un giaccone per il quale la favella del commesso ha speso parole sensate, convincenti, corrette. Ma, ahimè, non c’è la misura del modello di interesse.

Il giro prosegue ma quel giaccone torna nei pensieri dell’acquirente ormai in preda a una passione irrinunciabile. Il tizio, abituato a spendere buona parte del suo denaro attraverso l’e-commerce tenta la via del web. Ma, sorpresa, l’oggetto dei suoi desideri e delle sue ricerche non si trova facilmente e quando viene fuori qualcosa non è mai a prezzo di saldo. Al che, sempre con la faccia davanti al PC, tenta un’altra strada. Sito del produttore, ricerca dei retailers di zona (sì il sito, estero, ha lo shop online ma è già concentrato sulla primavera / estate). La pagina web indica una serie di negozi in tutta Italia (manca a dire il vero però quello in cui l’ho trovato “live”). L’indomito consumatore (e consumista, diciamolo!) sceglie qualche località sparsa in cui può arrivare con propri mezzi e senza sforzi (cioè posti in cui non dovrebbe andare appositamente): Verona, Milano, Rimini, Fano, Falconara Marittima, Macerata, Civitanova Marche.

Chiaramente l’idea non è quella di fare il giro d’Italia. Ma nemmeno quella di fare delle telefonate. In soccorso ci sono i social media! E qui scatta la parte più investigativa della faccenda. Di 7 negozi, tutti sono presenti su Facebook, 6 hanno anche il sito web (che però non è stato analizzato se non per cercare una forma di contatto). Le pagine riportano correttamente orario di apertura e servizio di messaggistica; una di queste pagine ha l’indicazione che dice “risponde solitamente in pochi minuti”.

L’internauta modaiolo decide a questo punto di contattarli con lo stesso messaggio che richiede la disponibilità del capo di abbigliamento in questione. Il contatto avviene laddove possibile sia attraverso Facebook che attraverso il sito web (una pagina però non ha inserito l’indicazione del sito). Ecco che cosa ne è venuto fuori. Le pagine non sono tutte aggiornate di recente: una ha l’ultimo update pochi giorni prima (siamo ai primi di gennaio, il 9 per la precisione), due hanno l’ultimo post datato dicembre 2015 , una ottobre 2015, una settembre 2015, una a marzo 2014 (sono quasi due anni!) e l’ultima (in tutti i sensi) a novembre 2013!

Senza perdersi d’animo e convinto che troverà soddisfazione il social-media-consumer riceve risposta in tempi diversi. Da tre negozi la risposta deve ancora arrivare (verrà rubricata come “MAI”); uno risponde il giorno seguente, di mattina presto, ma attraverso il form del sito (la pagina FB evidentemente non la segue); altri due rispondono in 3 ore il più lento e in 1 ora il più veloce. Il record però è del negozio che dopo 7 minuti è già in chat con una risposta.

Volendo fare un’analisi anche qualitativa delle risposte, i feedback, a parte quelli per mancanza o indisponibilità del capo cercato sono stati da una parte la richiesta a telefonare perché “Facebook lo guardo solo da casa” e dall’altra invece l’apertura di un dialogo simile a quello che si avrebbe con una commessa o un commesso gentili di un negozio: che taglia le occorre, abbiamo questi colori, lo possiamo tenere da parte, le faccio sapere quando siamo aperti, ecc. ecc. Non so se lo avete intuito, ma questo tipo di risposta è arrivata dallo stesso negozio che ha risposto dopo 7 minuti.

Breve conclusione (opinabile e non oggettiva). A vendere, nel senso di conquistare il consumatore, è stato il negozio in cui il capo è stato visto, indossato, provato e anche presentato bene: ergo, a mio modo di vedere, il retail fisico in questo campo ha ancora tutto il suo valore. Avere e gestire bene una pagina Facebook (o altro social media) è un lavoro per il quale servono competenze specifiche ma anche la conoscenza del mestiere (la social media manager del più efficiente era anche l’addetta vendita del negozio fisico). Farsi trovare pronti non è solo questione di prontezza della risposta (in termini di ore e minuti) ma anche di savoir faire e dimestichezza nell’uso delle parole. Ultimo: a vincere, nelle dinamiche del web commerce (posso chiamarlo così) non è più solo il prezzo. Anche se in saldo il prodotto in questione è di nicchia e sicuramente non si vende a chi cerca solo di risparmiare; in questi casi conta molto di più tutto il processo di aggancio del cliente e, poi, anche di post vendita (ma di questo magari parleremo un’altra volta). Utilizzate, se volete, i commenti per dire la vostra.

PS: mi va di dire che il negozio “vincitore” (che ha risposto bene e in fretta) è Sansovino Shop di Fano: il giaccone lo ha pure venduto alla fine anche se il link al suo sito dalla pagina FB non funziona 🙂