Genuina, fresca e gustosa (ma non si mangia)

Una delle maggiori difficoltà nell’introduzione di strumenti innovativi in una organizzazione è la convinzione che le cose fatte sempre nella stessa maniera siano quelle “giuste”. Soprattutto se certe modalità, stili, procedure, ragionamenti sono stati in passato confortati dai risultati. “Abbiam sempre fatto così” è la risposta istintiva, naturale e comprensibile di chi cerca di trovare una giustificazione ai primi eventuali, inaspettati e inspiegabili insuccessi. Un mio amico americano (di adozione) una volta mi fece notare questa frase: “the vision of changing world changes the vision of the world“. Forse è partendo da qui che un ristorante (Cantina Langelina) ha deciso di avere come primi clienti un gruppo di soggetti social media addicted, con esperienze e competenze diversificate.

La storia l’han raccontata altri, meglio di come potrei fare io, parlando di testimonial due punto zero (il blog Saponetteverdi) e di mossa strategica (come nello Storify di LunaMargherita); oppure raccontando come è nata una cena che è diventata marketing (Cristiano Carriero). Di questa esperienza, di cui sono stato felice e divertito partecipante, vorrei evidenziare alcuni elementi che, a mio parere, sono significativi per quello che riguarda possibili nuovi approcci e strategie comunicative (dei piatti e della bontà della cucina parlano le foto che ho fatto, #langelina). E siccome stiamo parlando di cucina e cibo tratterò l’argomento come se fosse una pietanza. Una strategia di marketing che, come una pietanza, definirei genuina, fresca e gustosa.

Genuina perché la selezione dei partecipanti non è stata inquinata, a quanto ne sappia, da logiche di scambi o da interessi legati al contenuto della proposta (il cibo o la cucina). Semplicemente e paradossalmente sono stati scelti partecipanti che avessero una qualche dimestichezza con i social media, uno smartphone a disposizione e la capacità di comunicare in qualche modo quello che stava accadendo (od era accaduto, come in questo post). In cambio di una cena che, sono certo, non è sufficiente ad inquinare il loro giudizio sulla cucina (ma non credo fosse questo ilvero obiettivo).

Fresca perché rappresenta una modalità di marketing (sempre che lo si possa chiamare così) piuttosto innovativa. Mi verrebbe da dire che è quasi un uso “estremo” della tecnica dello storytelling: non raccontiamo il prodotto (servizio) ma tutto quello che accade quando le persone (e non gli esperti di turno) interagiscono con quel prodotto (servizio). L’idea è che sia più interessante (e affascinante) ascoltare e vedere quel che accade quando alcuni potenziali clienti (sempre che li si possa chiamare così) interagiscono tra loro e con il prodotto (servizio). In questo senso i social media non sono altro che una finestra aperta dalla quale il resto del mondo può vedere quel che accade.

Gustosa perché è limpido e trasparente che il tutto è stato amichevole, divertente, allegro. La costruzione delle reti che avviene in questo modo (interne, tra i partecipanti, ed esterne, dei partecipanti con i loro contatti) è in qualche modo, per rimanere in tema, “appetitosa”: viene voglia di assaggiarla, di entrare a far parte del gioco, di rimanere collegati. Insomma, quando vediamo qualcuno che si diverte pensiamo di poterci divertire anche noi. Chiamatelo pure, se volete, engagement.

Ora la domanda che mi pongo alla fine di questo post è: volendo paragonare questa forma di promozione con un’altra più tradizionale che tipo di conclusioni se ne potrebbero trarre? Faccio un esempio: una brochure. Quale brochure avete mai assaggiato? E, soprattutto, quale brochure avete trovato genuina, fresca e gustosa?

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