Il personal branding è l’attività che ci permette di avere una certa notorietà (anche se il termine non è proprio corretto) in un certo contesto. Oggi, utilizzare strumenti tipicamente pubblicitari è alla portata di tutti: la “fama” gira nella rete e così ciascuno di noi, con qualche competenza tecnica ed informatica, può diventare una specie di Armando Testa nel suo piccolo.
Quello però che non si fa (e che non è proprio facile da realizzare, perlomeno non è istantaneo) è costruire qualcosa dietro la facciata della pubblicità. Perché se il personal branding si ferma alle attività superficiali (come una bella grafica del sito od una foto strabiliante) rischia di divenire solo un’apparizione che si sfoca velocemente nelle menti della maggior parte delle persone.
Ciò a cui non si bada è la reputazione: come la si costruisce? Cosa fa sì che il nostro marchio (brand) possa avere un valore solido e non così fragile da perdersi nel giro di pochissimi istanti? Sicuramente la preparazione, la competenza ed un lavoro portato avanti con disciplina e determinazione. Come dice Paolo Manocchi siamo abituati a pensare al motto “l’abito non fa il monaco” guardando solo ad una faccia della medaglia: o solo la forma, o solo la sostanza. Invece sono due facce che viaggiano necessariamente insieme, vicine, si toccano, si baciano.
A proposito di baci. Mentre scrivo sta facendo scalpore l’ultima campagna di Benetton (ritirata) con i baci scambiati tra personalità importanti del mondo. Quale forma e quale sostanza? Quale reputazione? La trovata pubblicitaria (forma) è sicurmaente di impatto non fosse altro per il fatto che è stata ripresa dalle testate di tutto il mondo; ma, forse, come fa notare anche l’Independent la questione (sostanza) è un’altra e riguarda i conti, non troppo brillanti, della casa di moda.
Come scrive la rivista Internazionale “le provocazioni non sono più una novità, e forse non sono sufficienti a convincere i consumatori”. Soprattutto se, poi, a guardar bene, sono anche delle cover .